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18 ott 2025

Legge: pignoramenti a chi non pagherà le bollette

di: Web Master

Legge: pignoramenti a chi non pagherà le bollette

Pignoramenti rapidi di casa e conto corrente per chi non paga le bollette: la proposta della Lega

Lavori in fase conclusiva per il disegno di legge sulla riscossione dei debiti voluto dal Carroccio. La maggioranza di governo ha già dato il via libera a tutti gli emendamenti. Manca solo il voto finale della commissione Giustizia al Senato, per poi inviare il testo al Parlamento. Potrebbe entrare in vigore tra la fine del 2026 e l'inizio del 2027. Cosa cambierebbe in concreto

L'obiettivo è quello di dare il via libera ai pignoramenti per chi non paga le bollette, senza passare da un giudice. E quindi con una procedura più rapida. Si tratta di una proposta di legge a prima firma Lega (senatrice Erika Stefani, qui il testo). Ci siamo quasi, perché l'iter previsto procede speditamente. Il disegno di legge sulla riscossione dei debiti non è ancora stato approvato in commissione Giustizia al Senato, ma i lavori sono in fase conclusiva e la maggioranza di centrodestra ha già approvato tutti gli emendamenti. Al provvedimento in questione manca quindi solo il voto della commissione per poi mandare il ddl in Parlamento, prima al Senato e poi alla Camera. Un percorso legislativo comunque abbastanza lungo, per cui il "lasciapassare" finale non è questione di poche settimane. Di fatto, però, il progetto di riforma c'è.

In sostanza, si tratta di una proposta che introduce un meccanismo che permetterebbe ai creditori di ottenere un pignoramento senza passare dal giudice. Chi ha debiti di quasi qualunque tipo - dalle bollette arretrate fino ai prestiti da società finanziarie o conti insoluti, tranne i mutui bancari - potrebbe ricevere una lettera dall'avvocato del creditore e, se non risponde entro 40 giorni, vedere i propri beni o conti pignorati. Il tutto senza un controllo esterno da parte dello Stato o di un tribunale.

Pignoramento automatico dopo 40 giorni dall'intimazione

Secondo i promotori della Lega, l'obiettivo è snellire una procedura oggi considerata "farraginosa e poco funzionale". Attualmente, infatti, il creditore deve rivolgersi a un giudice civile o di pace per ottenere un decreto ingiuntivo e solo dopo può procedere al pignoramento. Con la riforma, quel passaggio verrebbe saltato: sarebbe l'avvocato, su incarico del creditore, a inviare "un'intimazione di tipo monitorio", allegando le prove del debito. Se il debitore non si oppone entro 40 giorni, scatterà automaticamente l'esecuzione forzata.

Esclusi i mutui con le banche, non i crediti finanziari

La nuova procedura riguarderebbe solo i debiti di competenza del giudice di pace, ossia quelli fino a 10mila euro, e non includerebbe i mutui bancari. Secondo quanto emerso finora, il disegno di legge però non esclude i crediti finanziari, agevolando così gli intermediari e le società di recupero crediti, ma lasciando "scoperte" le famiglie. Il testo prevede inoltre che la responsabilità per eventuali abusi ricada sull'avvocato del creditore, che potrà essere sanzionato dal proprio ordine professionale o chiamato a rispondere civilmente dei danni causati. Ma non sono previsti controlli pubblici o interventi preventivi.

Dubbi e tempi

Anche se non ancora approvata, la proposta di legge potrebbe sollevare dubbi di costituzionalità e ha già ricevuto la contrarietà delle associazioni dei consumatori, preoccupate per i rischi di truffe e per la vulnerabilità dei cittadini meno informati. Come detto, dopo il voto in commissione Giustizia il testo dovrà passare al Senato e poi alla Camera. Considerando l'avvio imminente dei lavori sulla manovra finanziaria, difficilmente la riforma sarà calendarizzata prima della fine del 2025.

Anche in caso di approvazione, il ministero della Giustizia avrebbe sei mesi di tempo per emanare il decreto attuativo. Le nuove regole, dunque, non entrerebbero in vigore prima della fine del 2026 o, più realisticamente, nel 2027.


18/10/2025

16 ott 2025

Crypto 2026. Il fisco traccia e multe salate

di: Web Master

Crypto 2026. Il fisco traccia e multe salate

Dal 2026, l'Agenzia delle Entrate riceverà automaticamente dati dettagliati su tutte le operazioni cripto degli italiani, grazie a una nuova direttiva europea. Chi pensava di muoversi ancora in una zona grigia dovrà ricredersi: arrivano controlli serrati, multe salate e persino il blocco degli account per chi non collabora. Ecco nel dettaglio cosa si rischiaIl governo italiano ha dato il via libera allo schema di decreto che recepisce la direttiva UE 2226/2023, meglio conosciuta come Dac 8. Si tratta di una vera e propria rivoluzione nel panorama della fiscalità europea, pensata per chiudere definitivamente ogni varco attraverso cui potrebbe sfuggire materia imponibile. Fino a questo momento, gli Stati membri dell'Unione Europea potevano scegliere discrezionalmente solo due categorie di reddito da comunicare agli altri Paesi. Questa flessibilità ha creato, nel tempo, evidenti squilibri e opportunità di evasione. Dal primo gennaio 2026, invece, la trasmissione automatica dei dati diventa obbligatoria e riguarda praticamente tutte le fonti di reddito principali: dagli stipendi alle pensioni, dai compensi dei dirigenti alle rendite delle polizze vita, fino alla proprietà e ai redditi generati da beni immobili.Ma la vera novità riguarda le cripto-attività, che per la prima volta entrano a pieno titolo nel sistema di reporting fiscale europeo. L'obiettivo dichiarato è quello di garantire piena tracciabilità anche nei settori più innovativi e digitalizzati, impedendo che la tecnologia possa diventare uno schermo dietro cui nascondere ricchezza o movimenti finanziari rilevanti. Si chiude, così, un'epoca in cui le criptovalute potevano muoversi in un limbo normativo, e si apre una fase di controllo capillare e coordinato.

Perché proprio le criptovalute finiscono nel mirino Per anni le criptovalute hanno rappresentato una sorta di far west digitale dal punto di vista fiscale. La loro natura decentralizzata, la velocità delle transazioni e l'assenza di intermediari tradizionali le hanno rese difficili da monitorare con gli strumenti classici dell'amministrazione finanziaria. Ogni Paese ha adottato regole diverse, creando un mosaico normativo frammentato che ha inevitabilmente facilitato comportamenti elusivi o evasivi.La direttiva Dac 8 interviene proprio per uniformare il quadro e imporre standard comuni a tutta l'Unione Europea. Dal primo gennaio 2026, gli exchanger di criptovalute - cioè le piattaforme che permettono di comprare, vendere o scambiare asset digitali - saranno obbligati a comunicare all'Agenzia delle Entrate una serie di informazioni molto dettagliate sui propri utenti. Non si tratta di dati generici: dovranno essere trasmessi i dati anagrafici completi, i codici fiscali, la residenza fiscale dichiarata e, soprattutto, tutte le operazioni effettuate, inclusi acquisti, vendite, trasferimenti e pagamenti.Il livello di dettaglio richiesto supera di gran lunga quello previsto dal Common Reporting Standard (CRS), lo standard internazionale per lo scambio automatico di informazioni finanziarie, e va persino oltre le raccomandazioni del Gafi, l'organismo che si occupa di prevenire il riciclaggio di denaro e il finanziamento del terrorismo. In pratica, chi utilizza criptovalute sarà tracciato con la stessa precisione con cui, oggi, viene monitorato chi ha un conto corrente bancario tradizionale.

Sanzioni pesanti e blocchi operativi per chi non si adegua

La nuova normativa non si limita a imporre obblighi: prevede anche un sistema di sanzioni molto severo per garantire che le regole vengano effettivamente rispettate. Tutti gli operatori che forniscono servizi legati alle cripto-attività dovranno, prima di tutto, ottenere l'autorizzazione prevista dalla normativa MiCAr (Markets in Crypto-Assets Regulation, regolamento UE n. 2023/1114) entro il 31 dicembre 2025. Questa scadenza vale sia per chi vuole entrare nel mercato, sia per chi è già attivo secondo le regole italiane dell'Oam (Organismo Agenti e Mediatori). Una volta autorizzati, gli exchanger saranno tenuti a condurre un'adeguata verifica fiscale e antiriciclaggio su tutti i clienti, raccogliendo e aggiornando costantemente i loro dati fiscali, ottenendo autocertificazioni valide e verificando la correttezza delle informazioni trasmesse. Chi non rispetta questi obblighi rischia sanzioni pecuniarie che vanno da 1.500 a 15.000 euro per ogni singola violazione e, poiché le multe sono cumulabili, gli errori ripetuti possono tradursi in esborsi davvero consistenti.Ma non sono solo gli operatori a essere coinvolti: anche gli utenti hanno precise responsabilità. Se un cliente ignora due solleciti consecutivi inviati dalla piattaforma per fornire o aggiornare le proprie informazioni fiscali, la sua operatività verrà bloccata. Non potrà più comprare, vendere o trasferire criptovalute fino a quando non avrà regolarizzato la propria posizione. Si tratta di un meccanismo di responsabilità condivisa pensato per incentivare la massima collaborazione da entrambe le parti. La strategia è chiara: rendere impossibile operare nel mercato delle criptovalute senza essere completamente trasparenti verso il Fisco. Chi sperava di continuare a muoversi nell'ombra dovrà fare i conti con una realtà ben diversa.

Cosa devono fare ora operatori e investitoriIl margine di tempo per adeguarsi alle nuove regole è molto stretto. I prestatori di servizi per cripto-attività devono muoversi rapidamente su tre fronti: richiedere l'autorizzazione Micar entro dicembre 2025, aggiornare i propri sistemi informatici per essere in grado di raccogliere e gestire i dati fiscali richiesti, e prepararsi a trasmettere annualmente tutte le informazioni a partire dal 2026. Non si tratta di adempimenti banali: richiedono investimenti tecnologici, formazione del personale e una revisione completa dei processi operativi.Un aspetto particolarmente delicato riguarda la classificazione delle cripto-attività, che non sono tutte uguali dal punto di vista normativo. La normativa Micar distingue almeno due categorie principali: gli EMT (Electronic Money Tokens), assimilabili a moneta elettronica e che rientrano nel regime CRS, e gli ART (Asset Referenced Tokens), legati al valore di uno o più asset sottostanti e che seguono invece le regole del Carf (Crypto-Asset Reporting Framework). Questa distinzione è importante perché comporta regimi di trasmissione dati differenti, e un errore di classificazione potrebbe causare problemi fiscali sia all'intermediario che agli utenti.Anche gli investitori e gli utilizzatori di criptovalute devono prepararsi al cambiamento. È necessario che forniscano informazioni fiscali corrette e aggiornate alle piattaforme che si utilizzano, che rispondano tempestivamente a qualsiasi richiesta o sollecito ricevuto, e che tengano una traccia ordinata di tutte le operazioni effettuate.

16/10/2025

16 ott 2025

Crypto 2026. Il fisco traccia e multe salate

di: Web Master

Crypto 2026. Il fisco traccia e multe salate

Dal 2026, l'Agenzia delle Entrate riceverà automaticamente dati dettagliati su tutte le operazioni cripto degli italiani, grazie a una nuova direttiva europea. Chi pensava di muoversi ancora in una zona grigia dovrà ricredersi: arrivano controlli serrati, multe salate e persino il blocco degli account per chi non collabora. Ecco nel dettaglio cosa si rischiaIl governo italiano ha dato il via libera allo schema di decreto che recepisce la direttiva UE 2226/2023, meglio conosciuta come Dac 8. Si tratta di una vera e propria rivoluzione nel panorama della fiscalità europea, pensata per chiudere definitivamente ogni varco attraverso cui potrebbe sfuggire materia imponibile. Fino a questo momento, gli Stati membri dell'Unione Europea potevano scegliere discrezionalmente solo due categorie di reddito da comunicare agli altri Paesi. Questa flessibilità ha creato, nel tempo, evidenti squilibri e opportunità di evasione. Dal primo gennaio 2026, invece, la trasmissione automatica dei dati diventa obbligatoria e riguarda praticamente tutte le fonti di reddito principali: dagli stipendi alle pensioni, dai compensi dei dirigenti alle rendite delle polizze vita, fino alla proprietà e ai redditi generati da beni immobili.Ma la vera novità riguarda le cripto-attività, che per la prima volta entrano a pieno titolo nel sistema di reporting fiscale europeo. L'obiettivo dichiarato è quello di garantire piena tracciabilità anche nei settori più innovativi e digitalizzati, impedendo che la tecnologia possa diventare uno schermo dietro cui nascondere ricchezza o movimenti finanziari rilevanti. Si chiude, così, un'epoca in cui le criptovalute potevano muoversi in un limbo normativo, e si apre una fase di controllo capillare e coordinato.Perché proprio le criptovalute finiscono nel mirinoPer anni le criptovalute hanno rappresentato una sorta di far west digitale dal punto di vista fiscale. La loro natura decentralizzata, la velocità delle transazioni e l'assenza di intermediari tradizionali le hanno rese difficili da monitorare con gli strumenti classici dell'amministrazione finanziaria. Ogni Paese ha adottato regole diverse, creando un mosaico normativo frammentato che ha inevitabilmente facilitato comportamenti elusivi o evasivi.La direttiva Dac 8 interviene proprio per uniformare il quadro e imporre standard comuni a tutta l'Unione Europea. Dal primo gennaio 2026, gli exchanger di criptovalute - cioè le piattaforme che permettono di comprare, vendere o scambiare asset digitali - saranno obbligati a comunicare all'Agenzia delle Entrate una serie di informazioni molto dettagliate sui propri utenti. Non si tratta di dati generici: dovranno essere trasmessi i dati anagrafici completi, i codici fiscali, la residenza fiscale dichiarata e, soprattutto, tutte le operazioni effettuate, inclusi acquisti, vendite, trasferimenti e pagamenti.Il livello di dettaglio richiesto supera di gran lunga quello previsto dal Common Reporting Standard (CRS), lo standard internazionale per lo scambio automatico di informazioni finanziarie, e va persino oltre le raccomandazioni del Gafi, l'organismo che si occupa di prevenire il riciclaggio di denaro e il finanziamento del terrorismo. In pratica, chi utilizza criptovalute sarà tracciato con la stessa precisione con cui, oggi, viene monitorato chi ha un conto corrente bancario tradizionale.

Sanzioni pesanti e blocchi operativi per chi non si adegua

La nuova normativa non si limita a imporre obblighi: prevede anche un sistema di sanzioni molto severo per garantire che le regole vengano effettivamente rispettate. Tutti gli operatori che forniscono servizi legati alle cripto-attività dovranno, prima di tutto, ottenere l'autorizzazione prevista dalla normativa MiCAr (Markets in Crypto-Assets Regulation, regolamento UE n. 2023/1114) entro il 31 dicembre 2025. Questa scadenza vale sia per chi vuole entrare nel mercato, sia per chi è già attivo secondo le regole italiane dell'Oam (Organismo Agenti e Mediatori). Una volta autorizzati, gli exchanger saranno tenuti a condurre un'adeguata verifica fiscale e antiriciclaggio su tutti i clienti, raccogliendo e aggiornando costantemente i loro dati fiscali, ottenendo autocertificazioni valide e verificando la correttezza delle informazioni trasmesse. Chi non rispetta questi obblighi rischia sanzioni pecuniarie che vanno da 1.500 a 15.000 euro per ogni singola violazione e, poiché le multe sono cumulabili, gli errori ripetuti possono tradursi in esborsi davvero consistenti.Ma non sono solo gli operatori a essere coinvolti: anche gli utenti hanno precise responsabilità. Se un cliente ignora due solleciti consecutivi inviati dalla piattaforma per fornire o aggiornare le proprie informazioni fiscali, la sua operatività verrà bloccata. Non potrà più comprare, vendere o trasferire criptovalute fino a quando non avrà regolarizzato la propria posizione. Si tratta di un meccanismo di responsabilità condivisa pensato per incentivare la massima collaborazione da entrambe le parti. La strategia è chiara: rendere impossibile operare nel mercato delle criptovalute senza essere completamente trasparenti verso il Fisco. Chi sperava di continuare a muoversi nell'ombra dovrà fare i conti con una realtà ben diversa.Cosa devono fare ora operatori e investitoriIl margine di tempo per adeguarsi alle nuove regole è molto stretto. I prestatori di servizi per cripto-attività devono muoversi rapidamente su tre fronti: richiedere l'autorizzazione Micar entro dicembre 2025, aggiornare i propri sistemi informatici per essere in grado di raccogliere e gestire i dati fiscali richiesti, e prepararsi a trasmettere annualmente tutte le informazioni a partire dal 2026. Non si tratta di adempimenti banali: richiedono investimenti tecnologici, formazione del personale e una revisione completa dei processi operativi.Un aspetto particolarmente delicato riguarda la classificazione delle cripto-attività, che non sono tutte uguali dal punto di vista normativo. La normativa Micar distingue almeno due categorie principali: gli EMT (Electronic Money Tokens), assimilabili a moneta elettronica e che rientrano nel regime CRS, e gli ART (Asset Referenced Tokens), legati al valore di uno o più asset sottostanti e che seguono invece le regole del Carf (Crypto-Asset Reporting Framework). Questa distinzione è importante perché comporta regimi di trasmissione dati differenti, e un errore di classificazione potrebbe causare problemi fiscali sia all'intermediario che agli utenti.Anche gli investitori e gli utilizzatori di criptovalute devono prepararsi al cambiamento. È necessario che forniscano informazioni fiscali corrette e aggiornate alle piattaforme che si utilizzano, che rispondano tempestivamente a qualsiasi richiesta o sollecito ricevuto, e che tengano una traccia ordinata di tutte le operazioni effettuate.

16/10/2025

16 ott 2025

Crypto 2026. Il fisco traccia e mute salate

di: Web Master

Crypto 2026. Il fisco traccia e multe salate

Dal 2026, l'Agenzia delle Entrate riceverà automaticamente dati dettagliati su tutte le operazioni cripto degli italiani, grazie a una nuova direttiva europea. Chi pensava di muoversi ancora in una zona grigia dovrà ricredersi: arrivano controlli serrati, multe salate e persino il blocco degli account per chi non collabora. Ecco nel dettaglio cosa si rischiaIl governo italiano ha dato il via libera allo schema di decreto che recepisce la direttiva UE 2226/2023, meglio conosciuta come Dac 8. Si tratta di una vera e propria rivoluzione nel panorama della fiscalità europea, pensata per chiudere definitivamente ogni varco attraverso cui potrebbe sfuggire materia imponibile. Fino a questo momento, gli Stati membri dell'Unione Europea potevano scegliere discrezionalmente solo due categorie di reddito da comunicare agli altri Paesi. Questa flessibilità ha creato, nel tempo, evidenti squilibri e opportunità di evasione. Dal primo gennaio 2026, invece, la trasmissione automatica dei dati diventa obbligatoria e riguarda praticamente tutte le fonti di reddito principali: dagli stipendi alle pensioni, dai compensi dei dirigenti alle rendite delle polizze vita, fino alla proprietà e ai redditi generati da beni immobili.Ma la vera novità riguarda le cripto-attività, che per la prima volta entrano a pieno titolo nel sistema di reporting fiscale europeo. L'obiettivo dichiarato è quello di garantire piena tracciabilità anche nei settori più innovativi e digitalizzati, impedendo che la tecnologia possa diventare uno schermo dietro cui nascondere ricchezza o movimenti finanziari rilevanti. Si chiude, così, un'epoca in cui le criptovalute potevano muoversi in un limbo normativo, e si apre una fase di controllo capillare e coordinato.Perché proprio le criptovalute finiscono nel mirinoPer anni le criptovalute hanno rappresentato una sorta di far west digitale dal punto di vista fiscale. La loro natura decentralizzata, la velocità delle transazioni e l'assenza di intermediari tradizionali le hanno rese difficili da monitorare con gli strumenti classici dell'amministrazione finanziaria. Ogni Paese ha adottato regole diverse, creando un mosaico normativo frammentato che ha inevitabilmente facilitato comportamenti elusivi o evasivi.La direttiva Dac 8 interviene proprio per uniformare il quadro e imporre standard comuni a tutta l'Unione Europea. Dal primo gennaio 2026, gli exchanger di criptovalute - cioè le piattaforme che permettono di comprare, vendere o scambiare asset digitali - saranno obbligati a comunicare all'Agenzia delle Entrate una serie di informazioni molto dettagliate sui propri utenti. Non si tratta di dati generici: dovranno essere trasmessi i dati anagrafici completi, i codici fiscali, la residenza fiscale dichiarata e, soprattutto, tutte le operazioni effettuate, inclusi acquisti, vendite, trasferimenti e pagamenti.Il livello di dettaglio richiesto supera di gran lunga quello previsto dal Common Reporting Standard (CRS), lo standard internazionale per lo scambio automatico di informazioni finanziarie, e va persino oltre le raccomandazioni del Gafi, l'organismo che si occupa di prevenire il riciclaggio di denaro e il finanziamento del terrorismo. In pratica, chi utilizza criptovalute sarà tracciato con la stessa precisione con cui, oggi, viene monitorato chi ha un conto corrente bancario tradizionale.

Sanzioni pesanti e blocchi operativi per chi non si adegua

La nuova normativa non si limita a imporre obblighi: prevede anche un sistema di sanzioni molto severo per garantire che le regole vengano effettivamente rispettate. Tutti gli operatori che forniscono servizi legati alle cripto-attività dovranno, prima di tutto, ottenere l'autorizzazione prevista dalla normativa MiCAr (Markets in Crypto-Assets Regulation, regolamento UE n. 2023/1114) entro il 31 dicembre 2025. Questa scadenza vale sia per chi vuole entrare nel mercato, sia per chi è già attivo secondo le regole italiane dell'Oam (Organismo Agenti e Mediatori). Una volta autorizzati, gli exchanger saranno tenuti a condurre un'adeguata verifica fiscale e antiriciclaggio su tutti i clienti, raccogliendo e aggiornando costantemente i loro dati fiscali, ottenendo autocertificazioni valide e verificando la correttezza delle informazioni trasmesse. Chi non rispetta questi obblighi rischia sanzioni pecuniarie che vanno da 1.500 a 15.000 euro per ogni singola violazione e, poiché le multe sono cumulabili, gli errori ripetuti possono tradursi in esborsi davvero consistenti.Ma non sono solo gli operatori a essere coinvolti: anche gli utenti hanno precise responsabilità. Se un cliente ignora due solleciti consecutivi inviati dalla piattaforma per fornire o aggiornare le proprie informazioni fiscali, la sua operatività verrà bloccata. Non potrà più comprare, vendere o trasferire criptovalute fino a quando non avrà regolarizzato la propria posizione. Si tratta di un meccanismo di responsabilità condivisa pensato per incentivare la massima collaborazione da entrambe le parti. La strategia è chiara: rendere impossibile operare nel mercato delle criptovalute senza essere completamente trasparenti verso il Fisco. Chi sperava di continuare a muoversi nell'ombra dovrà fare i conti con una realtà ben diversa.Cosa devono fare ora operatori e investitoriIl margine di tempo per adeguarsi alle nuove regole è molto stretto. I prestatori di servizi per cripto-attività devono muoversi rapidamente su tre fronti: richiedere l'autorizzazione Micar entro dicembre 2025, aggiornare i propri sistemi informatici per essere in grado di raccogliere e gestire i dati fiscali richiesti, e prepararsi a trasmettere annualmente tutte le informazioni a partire dal 2026. Non si tratta di adempimenti banali: richiedono investimenti tecnologici, formazione del personale e una revisione completa dei processi operativi.Un aspetto particolarmente delicato riguarda la classificazione delle cripto-attività, che non sono tutte uguali dal punto di vista normativo. La normativa Micar distingue almeno due categorie principali: gli EMT (Electronic Money Tokens), assimilabili a moneta elettronica e che rientrano nel regime CRS, e gli ART (Asset Referenced Tokens), legati al valore di uno o più asset sottostanti e che seguono invece le regole del Carf (Crypto-Asset Reporting Framework). Questa distinzione è importante perché comporta regimi di trasmissione dati differenti, e un errore di classificazione potrebbe causare problemi fiscali sia all'intermediario che agli utenti.Anche gli investitori e gli utilizzatori di criptovalute devono prepararsi al cambiamento. È necessario che forniscano informazioni fiscali corrette e aggiornate alle piattaforme che si utilizzano, che rispondano tempestivamente a qualsiasi richiesta o sollecito ricevuto, e che tengano una traccia ordinata di tutte le operazioni effettuate.

16/10/2025

16 ott 2025

Crypto 2026. Il fisco traccia e mute salate

di: Web Master

Crypto 2026. Il fisco traccia e mute salate

Dal 2026, l'Agenzia delle Entrate riceverà automaticamente dati dettagliati su tutte le operazioni cripto degli italiani, grazie a una nuova direttiva europea. Chi pensava di muoversi ancora in una zona grigia dovrà ricredersi: arrivano controlli serrati, multe salate e persino il blocco degli account per chi non collabora. Ecco nel dettaglio cosa si rischiaIl governo italiano ha dato il via libera allo schema di decreto che recepisce la direttiva UE 2226/2023, meglio conosciuta come Dac 8. Si tratta di una vera e propria rivoluzione nel panorama della fiscalità europea, pensata per chiudere definitivamente ogni varco attraverso cui potrebbe sfuggire materia imponibile. Fino a questo momento, gli Stati membri dell'Unione Europea potevano scegliere discrezionalmente solo due categorie di reddito da comunicare agli altri Paesi. Questa flessibilità ha creato, nel tempo, evidenti squilibri e opportunità di evasione. Dal primo gennaio 2026, invece, la trasmissione automatica dei dati diventa obbligatoria e riguarda praticamente tutte le fonti di reddito principali: dagli stipendi alle pensioni, dai compensi dei dirigenti alle rendite delle polizze vita, fino alla proprietà e ai redditi generati da beni immobili.Ma la vera novità riguarda le cripto-attività, che per la prima volta entrano a pieno titolo nel sistema di reporting fiscale europeo. L'obiettivo dichiarato è quello di garantire piena tracciabilità anche nei settori più innovativi e digitalizzati, impedendo che la tecnologia possa diventare uno schermo dietro cui nascondere ricchezza o movimenti finanziari rilevanti. Si chiude, così, un'epoca in cui le criptovalute potevano muoversi in un limbo normativo, e si apre una fase di controllo capillare e coordinato.Perché proprio le criptovalute finiscono nel mirinoPer anni le criptovalute hanno rappresentato una sorta di far west digitale dal punto di vista fiscale. La loro natura decentralizzata, la velocità delle transazioni e l'assenza di intermediari tradizionali le hanno rese difficili da monitorare con gli strumenti classici dell'amministrazione finanziaria. Ogni Paese ha adottato regole diverse, creando un mosaico normativo frammentato che ha inevitabilmente facilitato comportamenti elusivi o evasivi.La direttiva Dac 8 interviene proprio per uniformare il quadro e imporre standard comuni a tutta l'Unione Europea. Dal primo gennaio 2026, gli exchanger di criptovalute - cioè le piattaforme che permettono di comprare, vendere o scambiare asset digitali - saranno obbligati a comunicare all'Agenzia delle Entrate una serie di informazioni molto dettagliate sui propri utenti. Non si tratta di dati generici: dovranno essere trasmessi i dati anagrafici completi, i codici fiscali, la residenza fiscale dichiarata e, soprattutto, tutte le operazioni effettuate, inclusi acquisti, vendite, trasferimenti e pagamenti.Il livello di dettaglio richiesto supera di gran lunga quello previsto dal Common Reporting Standard (CRS), lo standard internazionale per lo scambio automatico di informazioni finanziarie, e va persino oltre le raccomandazioni del Gafi, l'organismo che si occupa di prevenire il riciclaggio di denaro e il finanziamento del terrorismo. In pratica, chi utilizza criptovalute sarà tracciato con la stessa precisione con cui, oggi, viene monitorato chi ha un conto corrente bancario tradizionale.

Sanzioni pesanti e blocchi operativi per chi non si adegua

La nuova normativa non si limita a imporre obblighi: prevede anche un sistema di sanzioni molto severo per garantire che le regole vengano effettivamente rispettate. Tutti gli operatori che forniscono servizi legati alle cripto-attività dovranno, prima di tutto, ottenere l'autorizzazione prevista dalla normativa MiCAr (Markets in Crypto-Assets Regulation, regolamento UE n. 2023/1114) entro il 31 dicembre 2025. Questa scadenza vale sia per chi vuole entrare nel mercato, sia per chi è già attivo secondo le regole italiane dell'Oam (Organismo Agenti e Mediatori). Una volta autorizzati, gli exchanger saranno tenuti a condurre un'adeguata verifica fiscale e antiriciclaggio su tutti i clienti, raccogliendo e aggiornando costantemente i loro dati fiscali, ottenendo autocertificazioni valide e verificando la correttezza delle informazioni trasmesse. Chi non rispetta questi obblighi rischia sanzioni pecuniarie che vanno da 1.500 a 15.000 euro per ogni singola violazione e, poiché le multe sono cumulabili, gli errori ripetuti possono tradursi in esborsi davvero consistenti.Ma non sono solo gli operatori a essere coinvolti: anche gli utenti hanno precise responsabilità. Se un cliente ignora due solleciti consecutivi inviati dalla piattaforma per fornire o aggiornare le proprie informazioni fiscali, la sua operatività verrà bloccata. Non potrà più comprare, vendere o trasferire criptovalute fino a quando non avrà regolarizzato la propria posizione. Si tratta di un meccanismo di responsabilità condivisa pensato per incentivare la massima collaborazione da entrambe le parti. La strategia è chiara: rendere impossibile operare nel mercato delle criptovalute senza essere completamente trasparenti verso il Fisco. Chi sperava di continuare a muoversi nell'ombra dovrà fare i conti con una realtà ben diversa.Cosa devono fare ora operatori e investitoriIl margine di tempo per adeguarsi alle nuove regole è molto stretto. I prestatori di servizi per cripto-attività devono muoversi rapidamente su tre fronti: richiedere l'autorizzazione Micar entro dicembre 2025, aggiornare i propri sistemi informatici per essere in grado di raccogliere e gestire i dati fiscali richiesti, e prepararsi a trasmettere annualmente tutte le informazioni a partire dal 2026. Non si tratta di adempimenti banali: richiedono investimenti tecnologici, formazione del personale e una revisione completa dei processi operativi.Un aspetto particolarmente delicato riguarda la classificazione delle cripto-attività, che non sono tutte uguali dal punto di vista normativo. La normativa Micar distingue almeno due categorie principali: gli EMT (Electronic Money Tokens), assimilabili a moneta elettronica e che rientrano nel regime CRS, e gli ART (Asset Referenced Tokens), legati al valore di uno o più asset sottostanti e che seguono invece le regole del Carf (Crypto-Asset Reporting Framework). Questa distinzione è importante perché comporta regimi di trasmissione dati differenti, e un errore di classificazione potrebbe causare problemi fiscali sia all'intermediario che agli utenti.Anche gli investitori e gli utilizzatori di criptovalute devono prepararsi al cambiamento. È necessario che forniscano informazioni fiscali corrette e aggiornate alle piattaforme che si utilizzano, che rispondano tempestivamente a qualsiasi richiesta o sollecito ricevuto, e che tengano una traccia ordinata di tutte le operazioni effettuate.

16/10/2025

09 ott 2025

Le reti 6G avranno il sesto senso

di: Web Master

Le reti 6G avranno il sesto senso

La tecnologia di rete continua a evolversi e sta superando di gran lunga i confini della semplice connettività. I ricercatori che stanno esplorando le capacità dei futuri standard 6G sono giunti a un’importante svolta: le reti intelligenti sono capaci di percepire e interpretare l’ambiente fisico circostante.

Il concetto di percezione non è affatto nuovo. I primi sistemi sonar e radar furono sviluppati per rilevare la presenza di aerei e navi. Queste furono tra le prime tecnologie in grado di rendere visibile l’invisibile; presentavano però limiti: erano costosi da realizzare, dipendenti da infrastrutture autonome e in gran parte inaccessibili al di fuori dei settori militare, aeronautico o meteorologico.

Oggi siamo alla vigilia di una trasformazione straordinaria. La tecnologia di rilevamento fisico, è destinata a diventare radicalmente più accessibile, più scalabile e più intelligente. La prossima generazione di reti mobili diventerà una interfaccia sensoriale, in grado di percepire il mondo fisico in tempo reale. Possiamo pensare a tale evoluzione come alla capacità di fornire le reti di un sesto senso. Non si tratta di una semplice metafora: è una realtà tecnica e commerciale che appare all’orizzonte via via che passiamo dal 5G all’era del 6G.

Dall’infrastruttura di rete ai sistemi percettivi

Tradizionalmente, il ruolo di una rete di telecomunicazioni è sempre stato quello di trasportare segnali audio e dati. Di generazione in generazione le reti sono diventate più intelligenti, con maggiori livelli di integrazione con il mondo che le circonda. Il 5G ha rappresentato una pietra miliare fondamentale, inaugurando un’era di bassissima latenza, ampia capacità e livelli di affidabilità elevatissimi.

PUBBLICITÀ

Il rilevamento di rete utilizza lo stesso tipo di segnale radio già in uso per trasmettere e ricevere dati. Una volta trasmessi, questi segnali rimbalzano sugli oggetti presenti nell’ambiente circostante, come persone, veicoli, muri o persino condizioni meteorologiche. Una rete dotata di capacità di sensing è in grado di ricevere i rimbalzi e interpretare le informazioni acquisite sugli oggetti presenti nelle vicinanze, come la loro dimensione, forma o direzione di marcia. Utilizzando gli algoritmi giusti e una potenza di calcolo adeguata, è possibile estrarre una grande quantità di dettagli da tali informazioni e utilizzarli.

La transizione dalla connettività di base alla percezione intelligente è guidata da nuovi modelli di AI, apprendimento automatico ed elaborazione avanzata dei segnali che permettono di elaborare enormi volumi di dati in tempo reale generando reti in grado di individuare modelli con un livello di precisione e dettaglio inimmaginabile solo pochi anni fa.

Dare senso al mondo che ci circonda

Il nucleo centrale di tale trasformazione è una serie di protocolli tecnologici noti come Jcas (Joint communication and sensing). Si tratta di un principio fondamentale per i futuri standard 6G, la cui ambizione è far diventare il rilevamento di rete una funzionalità chiave su cui sviluppare nuovi casi d’uso. Con una fitta rete di siti di celle radio, è possibile mappare dinamicamente una versione digitale del mondo fisico che si aggiorna in tempo reale. Con il progredire delle reti e la sempre maggiore diffusione dell’uso di bande di frequenza mmWave e sub-terahertz, la risoluzione delle “immagini” di questa mappa digitale migliorerà significativamente. Larghezze di banda superiori significano dettagli più accurati, con conseguente maggiore chiarezza e accuratezza dell’immagine degli oggetti fisici rilevati.


I possibili utilizzi

Cosa si può fare concretamente con una rete con tecnologia sensing? Tantissime cose, a quanto pare, e sono tanti i settori che potrebbero trarne vantaggio. Nell’era della mobilità intelligente, le reti potrebbero essere utilizzate per rilevare veicoli, pedoni e altri pericoli. I segnali potrebbero persino “vedere” dietro gli angoli o in condizioni di scarsa visibilità. Ciò contribuisce a realizzare incroci stradali più sicuri, sistemi di gestione del traffico più reattivi e potenzialmente a supportare la guida autonoma.

Le reti di rilevamento hanno inoltre grandi potenzialità di migliorare la sicurezza pubblica. Nel controllo delle folle o in occasione di grandi eventi, il sensing può essere utilizzato per rilevare strutture di formazioni, schemi di movimento insoliti o intrusioni fisiche in aree riservate. Ciò potrebbe abilitare risposte più rapide e consapevoli alle emergenze. Inoltre può rappresentare un’alternativa alla video sorveglianza durante le manifestazioni pubbliche, dove l’uso della tecnologia di riconoscimento facciale ha sollevato timori in tema di privacy.

Anche il crescente utilizzo dell’automazione nell’industria può essere reso più sicuro grazie alla tecnologia di rilevamento. Macchine e robot potrebbero rispondere alla prossimità con esseri umani e interrompere processi pericolosi senza richiedere sensori o telecamere aggiuntivi.

L’assistenza sanitaria è un altro settore destinato a trarne beneficio, con potenziali applicazioni quali il monitoraggio della frequenza respiratoria o della mobilità di un paziente senza sensori applicati sul corpo. Ciò offre importanti opportunità per la telemedicina, l’assistenza agli anziani e il monitoraggio clinico, soprattutto in ambienti in cui la privacy è fondamentale. In un progetto congiunto del Fraunhofer Heinrich Hertz Institute e dell’ospedale universitario Charité di Berlino, si sta sperimentando la tecnologia di rilevamento di rete per rilevare i parametri vitali dei pazienti in modalità wireless.

Nuove opportunità commerciali

Da un punto di vista commerciale, il rilevamento di rete rappresenta una svolta epocale. Non è semplicemente un’altra funzionalità di rete, ma una piattaforma di servizi che può essere utilizzata in svariati settori. I Csp possono offrire servizi di informazioni basati sul rilevamento, creando nuove fonti di reddito in trasporti, logistica, sicurezza e gestione ambientale.

Per esempio, gli urbanisti potrebbero abbonarsi a servizi di analisi di rete per ottimizzare la temporizzazione dei semafori in base all’utilizzo della strada in tempo reale. Le aziende nel campo della logistica potrebbero monitorare il movimento dei container in un’area portuale senza dover ricorrere a dispositivi di tracciamento fisici. Gli enti ambientali potrebbero utilizzare i dati di rete per monitorare l’inquinamento o gli spostamenti della fauna selvatica in aree remote.

È importante sottolineare che ciò sarà reso possibile utilizzando un’infrastruttura di rete standard, potenziata da software e analisi dei dati. Non è necessario installare sensori aggiuntivi: basta sfruttare il potenziale di rilevamento della rete stessa. Ciò riduce significativamente gli ostacoli che impediscono ai Csp di proporre un’offerta di servizi realmente differenziata, in un momento in cui i gemelli digitali stanno avendo sempre maggiore diffusione.

Forgiare il futuro del mondo che ci circonda

La prossima generazione di reti mobili non si limiterà a offrire velocità più elevate o latenza più bassa. Essa impatterà anche sul tema della consapevolezza ambientale. Le reti sapranno cosa accade intorno ad esse e ci permetteranno di agire di conseguenza. I Csp trarranno vantaggio dalle potenzialità di molteplici nuovi servizi e flussi di entrate. I settori verticali sembrano destinati a beneficiare di una serie di nuove capacità su cui sviluppare casi d’uso all’avanguardia.

Nella cultura popolare, il sesto senso è spesso considerato un superpotere occulto, che conferisce a chi lo possiede livelli di intuizione fuori dal comune. Con l’evoluzione delle nostre infrastrutture, tutti noi potremmo presto beneficiare di capacità percettive più ampie.

10/10/2025

03 ott 2025

Trump, Blair pro genocidio Gaza e suo futuro

di: Web Master

Dopo più di un’ora di attesa, il presidente degli Stati Uniti Donald Trump si è presentato nella East Room della Casa Bianca insieme al premier israeliano Benjamin Netanyahu per presentare un piano per porre fine alla distruzione della Striscia di Gaza da parte dell’esercito israeliano (Idf). Trump si è presentato con un piano di 21 punti definendo questo giorno “storico” e arrivando a sostenere che potrebbe essere “uno dei più grandi della civiltà”.ù punti del piano presentato da Trump

Il cuore del progetto sarebbe quello di trasformare Gaza in una “zona deradicalizzata e libera dal terrorismo”, ricostruita “a beneficio del popolo di Gaza, che ha già sofferto abbastanza”. Le condizioni prevedono la liberazione degli ultimi ostaggi israeliani in mano ad Hamas entro 72 ore, la restituzione dei corpi delle vittime, la formazione di un corpo di polizia e la distruzione della rete di infrastrutture che garantirebbe protezione ai militanti di Hamas, quali tunnel e fabbriche di armi. La smilitarizzazione della Striscia sarebbe invece graduale e verrebbe affidata ai paesi arabi al fine di dar vita a una nuova autorità di transizione. Trump ha sottolineato che nessun palestinese sarà costretto a lasciare Gaza, precisando che chi vorrà andarsene potrà farlo, ma a tutte e tutti sarà garantita la possibilità di tornare.

Se tutto va come deve andare, altrimenti…

L’accordo, secondo Trump, sarebbe quindi “molto vicino”, ma l’ultima parola spetterebbe ad Hamas: “Sono gli unici che mancano. Tutti gli altri hanno accettato. Ho la sensazione che arriverà una risposta positiva, ma se così non fosse”, Trump ha garantito a Netanyahu “pieno sostegno” per fare ciò che deve. Il riferimento è al completamento della distruzione della Striscia.

Trump ha anche ringraziato Netanyahu “per aver accettato il piano” ancor prima che il premier israeliano prendesse parola, cosa che poi ha fatto successivamente affermando, effettivamente, di supportare “il piano per porre fine alla guerra a Gaza”. “Se lavoriamo insieme [con Hamas, ndr] – ha continuato Trump – possiamo porre fine a decenni, persino secoli, di morte e distruzione”.


Il ritorno di Tony Blair

A supervisionare tutto quanto ci dovrebbe essere un cosiddetto un board of peace presieduto dallo stesso presidente degli Stati Uniti. “Non è stata una mia idea – credetemi, sono molto impegnato – ma me lo hanno chiesto i leader del mondo arabo e Israele, e ho accettato”, ha precisato Trump. Nel consiglio siederanno anche altri capi di stato insieme all’ex premier britannico Tony Blair, che avrebbe avuto un ruolo cruciale nel delineare la proposta. Il piano, infatti, sarebbe stato elaborato con il coinvolgimento di gran parte dei paesi arabi e musulmani quali Turchia, Arabia Saudita, Qatar, Emirati Arabi Uniti, Egitto, Pakistan e Giordania.

L'esercito israeliano resta alla finestra

Dal canto suo, Netanyahu ha affermato che “se questo organismo internazionale avrà successo, la guerra finirà definitivamente” precisando che, nel frattempo, l’esercito “resterà in un perimetro di sicurezza finché necessario”. Il premier ha anche sfruttato l’occasione anche per tentare di ricucire lo strappo con il Qatar dopo il bombardamento israeliano avvenuto a Doha il 9 settembre. “Non accadrà mai più”, ha promesso Netanyahu, mentre Doha si è detta disponibile a garantire il ruolo di mediatore.

Il bilancio complessivo della ritorsione israeliana all’attacco del 7 ottobre 2023 che costò la vita a 1.139 persone è di oltre 66mila vittime accertate, ma sarebbero migliaia i corpi ancora sepolti sotto le macerie. La conferenza si è conclusa senza citare la nascita di uno stato palestinese e senza lasciare spazio alle giornaliste e ai giornalisti presenti per chiarire parte delle questioni rimaste in sospeso.

Perché si parla di Tony Blair come futuro “governatore” di Gaza

L'ex premier britannico da diversi anni si è avvicinato al presidente Trump per consigliarlo sulle questioni arabe e delle regioni orientali; ora ha ottenuto di poter far parte del Consiglio di pace per Gaza previsto dal piano americano, nonostante il suo controverso passato

L'ex primo ministro britannico Tony Blair potrebbe finire per esercitare un'influenza significativa sulla Striscia di Gaza. Lunedì 29 settembre, il presidente degli Stati Uniti Donald Trump ha presentato il suo piano per porre fine alla guerra nel territorio palestinese, prevedendo la creazione di un board of peace internazionale che dovrebbe governare ad interim l'intera Striscia. Del Consiglio di pace farebbero parte lo stesso Trump, con un ruolo probabilmente onorifico, e Tony Blair: unico altro membro citato pubblicamente fino a questo momento. La scelta è ricaduta sull’ex premier laburista, al potere tra il 1997 e il 2007, perché da oltre un anno lavora a proposte per la gestione di Gaza attraverso il suo Tony Blair institute for global change, in coordinamento con Jared Kushner, genero di Trump ed ex consigliere per il Medio Oriente. Blair porta con sé anche una lunga esperienza nella regione: per otto anni è stato inviato speciale del Quartetto per il Medio Oriente, organismo composto da rappresentanti delle Nazioni Unite, degli Stati Uniti, dell'Unione europea e della Russia creato per facilitare la risoluzione del conflitto israelo-palestinese, e ha coltivato rapporti diretti con diversi paesi arabi. Il quotidiano Financial times ha confermato che Blair sarebbe disposto ad assumere un ruolo a Gaza.

Il passato di Blair pesa ancora

La lunga esperienza di Blair in Medio Oriente è segnata da fallimenti e controversie che sollevano dubbi sulla sua adeguatezza a guidare Gaza. Durante il suo governo, Blair sostenne attivamente le guerre in Afghanistan e in Iraq avviate dall'amministrazione statunitense del repubblicano George W. Bush, operazioni militari oggi considerate fallimentari dalla maggior parte degli analisti. L'allineamento incondizionato di un leader progressista alle strategie belliche di Washington è stato e rimane un problema per molti esponenti della sinistra europea.

Il coinvolgimento di Blair nella regione non si è interrotto nemmeno con la fine del suo mandato. Lo stesso giorno in cui rassegnò le dimissioni, nel giugno del 2007, accettò l'incarico di inviato speciale del Quartetto sul Medio Oriente. Blair ne divenne il capo negoziatore più prestigioso, mantenendo la posizione fino al 2015 senza ottenere risultati significativi. La leadership palestinese contestò ripetutamente la sua eccessiva vicinanza a Israele, minando la credibilità del suo ruolo di mediatore. Durante quegli otto anni, il processo di pace rimase sostanzialmente bloccato e le tensioni tra israeliani e palestinesi si aggravarono, specialmente nella Striscia di Gaza dove Hamas consolidò il proprio controllo.

Dopo aver lasciato il Quartetto, Blair ha continuato a occuparsi della questione palestinese attraverso il Tony Blair institute for global change, organizzazione non profit da lui fondata nel 2016 che oggi conta oltre 900 persone e opera in più di 40 paesi. L'istituto fornisce consulenza ai governi su governance, strategie di sviluppo e modernizzazione, con progetti particolarmente attivi in Africa e Medio Oriente. Sul fronte israelo-palestinese, l'organizzazione sviluppa raccomandazioni per il processo di pace e lavora su miglioramenti economici e umanitari in Cisgiordania e Gaza. L'istituto ha ricevuto finanziamenti controversi, inclusi 9 milioni di sterline (oltre 10 milioni di euro) dall'Arabia Saudita nel 2018, e proprio per questo è stato criticato per la collaborazione con regimi autoritari. Grazie alla fondazione, Blair ha stabilito relazioni personali con diversi leader arabi, tra cui il principe ereditario saudita Mohammed bin Salman.

Il piano elaborato con Kushner

Nell'ultimo decennio Blair si è progressivamente avvicinato all'amministrazione Trump, collaborando in particolare con Jared Kushner, genero del presidente che nel primo mandato ricoprì il ruolo di consigliere per il Medio Oriente. Secondo fonti diplomatiche citate dal Financial Times, Blair lavora su proposte per Gaza da oltre un anno, coordinandosi proprio con Kushner al punto che alcuni funzionari hanno definito il progetto “piano Kushner-Blair”. I due si sono incontrati alla Casa Bianca nell'agosto del 2024 per discutere della questione con Trump e i suoi collaboratori più esperti. Sempre secondo il quotidiano economico inglese le proposte elaborate da Blair prevedevano un forte coinvolgimento internazionale nella gestione del territorio attraverso un sistema di protettorato che avrebbe dovuto garantire stabilità e sicurezza. Tuttavia le autorità europee e dei paesi arabi avevano contestato l'eccessiva attenzione rivolta alle preoccupazioni di sicurezza israeliane, temendo che un approccio così sbilanciato potesse escludere le volontà palestinesi dall'accordo e privare il piano di qualsiasi legittimità agli occhi della popolazione locale.

Il piano finale annunciato il 29 settembre da Trump e accettato “in diretta” dal premier israeliano Benjamin Netanyahu sarebbe un compromesso tra le due visioni contrapposte visto che da un lato incorpora la richiesta degli stati arabi ed europei di affidare l'amministrazione quotidiana di Gaza a un comitato tecnico palestinese. Dall'altro mantiene l'elemento centrale delle proposte Blair-Kushner attraverso l'istituzione del **board of peace **con figure internazionali. Da quanto emerso finora, il board presieduto nominalmente da Trump, con Blair come membro di maggior rilievo avrà come compito quello di di monitorare l'operato del comitato palestinese e garantire il rispetto degli accordi di cessate il fuoco tra Israele e Hamas, fungendo da interfaccia tra l'amministrazione locale e la comunità internazionale.

Commento di Alessandro Leonardi.

Ricordo che il genero di Trump, Kushner fa parte del gruppo sionista dei Chabadisti Lubawitch che sponsorizzano la maggior parte delle potenze mondiali. Trump è legato ad essi ed è stato finanziato da essi. Anche Toni Blair.

Link dove Toni Blair elogia il Rabbi Jonathan Sacks, chabadista 

Ed ecco chi è Jonathan Sacks

https://www.chabad.org/therebb...

L'uomo che ha rivolto l'ebraismo verso l'esterno

Del rabbino Jonathan Sacks

Giugno 1994

Un grande leader è morto e il mondo ebraico è diventato un luogo più piccolo. La storia ricorderà i successi del settimo Rebbe di Lubavitch , il rabbino Menachem Mendel Schneerson . Il mio omaggio è semplice. Quest'uomo ha cambiato il panorama religioso della vita ebraica.

Ci siamo incontrati per la prima volta nel 1968. Ero uno studente universitario in visita all'ebraismo americano per conoscerne i leader intellettuali. Erano impressionanti. Ma il mio incontro con il Rebbe è stato unico. In ogni altro caso, ponevo domande e ricevevo risposte. Solo il Rebbe di Lubavitch ha ribaltato l'intervista e ha iniziato a farmi domande. Cosa stavo facendo per la vita ebraica a Cambridge? Cosa stavo facendo per promuovere l'identità ebraica tra i miei compagni di studio?

La sfida era personale e inequivocabile. Mi resi conto allora che ciò che rendeva straordinario il Rebbe era l'esatto opposto di ciò che gli veniva solitamente attribuito. Non era un uomo interessato a creare seguaci. Era invece un uomo che aveva la passione di creare leader.

Lui stesso fu un leader di portata eroica. Scelto per succedere al suo defunto suocero, il rabbino Yosef Yitzchak Schneersohn , alla guida di Lubavitch nel 1950, si impegnò a ricostruire il movimento nel clima inospitale dell'America laica. A quel tempo, era opinione diffusa che l'Ortodossia non avesse futuro negli Stati Uniti. Nessuno aveva ancora trovato il modo di rendere l'ebraismo tradizionale una presenza viva in un'America chiamata la medina di treifa .

Come tutti i leader rabbinici classici, il Rebbe iniziò con l'istruzione, creando una rete di scuole e yeshivot . Poi prese la decisione che avrebbe cambiato il volto di Lubavitch e, in ultima analisi, del mondo ebraico. Inviò i suoi seguaci in luoghi e comunità che non avevano mai conosciuto una presenza chassidica. Iniziò con i campus universitari. Già all'inizio degli anni '50, i Lubavitch lavoravano con studenti ebrei, raccontando storie chassidiche, cantando canzoni e introducendoli al mondo, fino ad allora remoto, del misticismo ebraico.

Fu una mossa straordinaria, niente meno che la reinvenzione dei primi giorni del movimento chassidico quando, nel XVIII secolo, i seguaci del Baal Shem Tov viaggiavano di villaggio in villaggio portando con sé il messaggio di pietà e fede.

Il chassidismo si era dimostrato il modo più efficace per proteggere l'ebraismo dalle incursioni della secolarizzazione. Ma il suo impatto fu limitato all'Europa orientale. Nulla era meno probabile del fatto che una strategia del vecchio mondo potesse avere successo nel nuovo. E così fu. Attratti dal suo calore, incuriositi dalla sua profondità, gli ebrei fino ad allora assimilati si sentirono attratti da Lubavitch e, incontrando il Rebbe, divennero suoi discepoli.

La seconda decisione fu ancora più straordinaria. Sebbene la fede che animava il Rebbe fosse tradizionale, l'ambiente a cui si rivolgeva non lo era. Prima e più profondamente di qualsiasi altro leader ebraico, si rese conto che le comunicazioni moderne stavano trasformando il mondo in un villaggio globale.

La leadership religiosa poteva ora essere esercitata su una scala prima impossibile. Il Rebbe iniziò a inviare emissari in tutto il mondo ebraico, in particolare e segretamente in Russia. Il movimento fu unificato dai suoi discorsi regolari, comunicati attraverso una serie di campagne di mitzvah . Poche organizzazioni internazionali avrebbero potuto essere guidate in modo più stretto da un singolo individuo con risorse minime.

Sarebbe difficile trovare un precedente storico per questo imponente sforzo volto a riaccendere la fiamma dell'ebraismo in un mondo laico. Se oggi abbiamo familiarità con il fenomeno dei baalei teshuvah (ritorni religiosi) e dell'evangelizzazione ebraica, ciò è dovuto quasi interamente al lavoro pionieristico di Lubavitch, poi adottato da molti altri gruppi all'interno dell'Ortodossia.

Il Rebbe era preoccupato per la sfida della leadership religiosa. In una conversazione che avemmo nel 1978, espresse la sua preoccupazione per la carenza di rabbini in tutta la Diaspora e per l'incapacità delle yeshivot di indirizzare i propri ex studenti verso il lavoro congregazionale. Mi incoraggiò a entrare nel rabbinato e a formare altri rabbini, e sostenne in particolare il lavoro del Jewish College. Lui stesso trasformò i suoi seguaci in leader il più presto possibile e, se la decisione di dare potere ai giovani espose Lubavitch a rischi, gli conferì anche un vigore e un'energia che non si trovavano in nessun altro luogo nel mondo religioso.

Dietro tutta questa attività si celava una visione avvincente, mai formalmente articolata ma comunque chiara. Il mondo ebraico, in particolare l'Europa da cui proveniva, era stato devastato dall'Olocausto. In seguito, una cosa era accaduta, ma un'altra no. Gli ebrei erano tornati nella terra d' Israele . Ma non erano tornati alla fede d'Israele.

Nell'ebraismo, il ritorno fisico e quello spirituale sono inseparabili. Nel mondo moderno si erano separati. Questa era la frattura che lui cercava di ricomporre. Laddove altri si dedicavano alla costruzione dello Stato ebraico, lui si dedicava alla ricostruzione della condizione interiore degli ebrei.

Lo stesso Rebbe era instancabile nel tracciare collegamenti tra gli eventi contemporanei e la porzione di Torah della settimana. I suoi seguaci non perderanno di vista l'importanza del fatto che morì all'inizio della settimana di Hukkat , la lettura della Torah che riporta il toccante decreto secondo cui Mosè sarebbe morto prima di guidare il suo popolo nella terra promessa. Come Israele fu per Mosè, così l'era messianica è stata per i più grandi leader dell'ebraismo: una destinazione verso cui si è viaggiato, intravista da lontano ma non ancora raggiunta.

Altri discuteranno delle posizioni controverse del Rebbe sulle grandi questioni ebraiche del nostro tempo. Io semplicemente piango la perdita di un intelletto autorevole, di una presenza maestosa, di un uomo dal fuoco spirituale e dal calore umano, uno dei pochissimi nella storia la cui influenza si è fatta sentire in tutto il mondo ebraico, l'uomo che ha rivolto l'ebraismo all'esterno e ha dedicato la sua vita a portare all'umanità post-Olocausto la presenza viva di Dio .

Del rabbino Jonathan Sacks

Il rabbino Lord Jonathan Sacks (1948-2020) è stato un leader religioso mondiale, filosofo, autore pluripremiato e stimata voce morale. Nel 2016 ha ricevuto il Premio Templeton in riconoscimento del suo "contributo eccezionale all'affermazione della dimensione spirituale della vita". Descritto da Sua Maestà il Re Carlo III come "una luce per questa nazione" e dall'ex Primo Ministro britannico Sir Tony Blair come "un gigante intellettuale", il rabbino Sacks è stato un collaboratore frequente e ricercato di radio, televisione e stampa, sia in Gran Bretagna che in tutto il mondo. Ha ricoperto la carica di rabbino capo delle Congregazioni Ebraiche Unite del Commonwealth per 22 anni, tra il 1991 e il 2013. Per leggere altri scritti e insegnamenti del rabbino Jonathan Sacks, visitate il sito www.rabbisacks.org .

03 ott 2025

USA. Stablecoin al posto del dollaro.

di: Web Master

USA. Stablecoin al posto del dollaro.

Usa approvano legge su stablecoin: vittoria per il settore delle criptovalute e per Trump che ci guadagna

Il Senato deve votare anche su altri due disegni di legge che favoriscono l'affermazione del mercato privato delle criptovalute negli Stati Uniti. Festeggiano le compagnie del settore e il presidente Trump

Quella che il governo degli Stati Uniti ha ribattezzato come la "settimana delle criptovalute" ha portato all'approvazione da parte della Camera della prima legge federale che regolamenta le cosiddette stablecoin, vale a dire le monete digitali ancorate a una valute o bene reale.

Essendo stata precedentemente approvata dal Senato, la legge entrerà in vigore nel momento in cui il presidente la firmerà e non c'è dubbio, visto che Donald Trump è stato un sostenitore pieno delle criptovalute, da cui si ritiene abbia guadagnato decine di milioni di dollari.

Anche altre due proposte di legge relative alle criptovalute sono state approvate dalla Camera e passeranno al Senato.

Si tratta di un'importante vittoria per l'industria delle criptovalute, che ha investito milioni di euro nelle elezioni dello scorso anno, sostenendo i candidati favorevoli alla deregolamentazione del mercato valutario e l'investimento in monete digitali private anziché crearne di pubbliche, come il dollaro o l'euro digitale.

La Camera aveva tre proposte di legge relative alle criptovalute da approvare e il Partito Repubblicano ha deciso di votarle separatamente. La proposta sulle stablecoin è passata mentre le altre due - una per creare una nuova struttura di mercato per le criptovalute e l'altra per vietare alla Federal Reserve di emettere una nuova valuta digitale - saranno esaminate dal Senato in un secondo momento.


Come viene regolamentata la stablecoin negli Stati Uniti

Il disegno di legge sulle stablecoin, chiamato Genius Act, stabilisce limiti e protezioni per ii possessori di criptovalute con requisiti di riserva, audit e conformità.

Le stablecoin sono gettoni digitali legati a un bene stabile, spesso il dollaro Usa, per ridurre la volatilità del prezzo.

"In tutto il mondo, i sistemi di pagamento stanno subendo una rivoluzione", ha dichiarato giovedì il presidente dei servizi finanziari della Camera, French Hill, sicuro che il disegno di legge "garantirà la competitività americana e una forte protezione per i nostri consumatori".

Il provvedimento sulle stablecoin è visto infatti dai legislatori e dall'industria come un passo avanti per ottenere la fiducia dei consumatori in un settore in rapida crescita.

Il segretario al Tesoro Usa, Scott Bessent, ha dichiarato a giugno che la legislazione potrebbe aiutare il mercato delle criptovalute a "crescere fino a diventare un mercato da 3,7 trilioni di dollari (3,2 trilioni di euro) entro la fine del decennio".

Il disegno di legge delinea anche i requisiti per chi emette le monete digitali, tra cui la conformità alle leggi statunitensi contro il riciclaggio di denaro e le sanzioni, e impone agli emittenti di detenere riserve a sostegno della criptovaluta.

Senza questo quadro, hanno avvertito i repubblicani della Commissione bancaria del Senato in una dichiarazione, "i consumatori corrono rischi come riserve instabili o operazioni poco chiare da parte degli emittenti di stablecoin".

Dopo le votazioni, i repubblicani della Camera hanno esortato il Senato a prendere in considerazione il secondo disegno di legge, che definisce quali forme di criptovaluta debbano essere trattate come materie prime regolate dalla Commodity Futures Trading Commission e quali come titoli controllati dalla Securities and Exchange Commission.

In generale i token associati a blockchain "maturi", come il Bitcoin, sarebbero considerati commodity.

La terza proposta di legge, approvata alla Camera con un margine più ristretto di 219-210, vieta agli Stati Uniti di offrire la cosiddetta "moneta digitale della banca centrale", ovvero una forma di contante digitale emessa dal governo.

Perché gli Stati Uniti hanno bisogno di una regolamentazione sulle criptovalute

L'industria delle criptovalute si è a lungo lamentata del fatto che leggi poco chiare hanno reso difficile operare negli Stati Uniti e che l'amministrazione Biden ha tentato di regolamentare il settore attraverso azioni esecutive piuttosto che una regolamentazione trasparente.

L'approvazione di questa legge è stata una priorità assoluta per il settore, che è diventato rapidamente un attore importante a Washington, grazie a sostanziose donazioni per la campagna elettorale e a sforzi di lobbying.

Patrick McHenry, ex presidente del Comitato per i servizi finanziari della Camera e ora vicepresidente della società di criptovalute Ondo Finance, ha dichiarato che la legge avrà un "enorme impatto generazionale", simile alle leggi sui titoli approvate dal Congresso negli anni '30 che hanno contribuito a rendere Wall Street il centro del mondo finanziario.

"Queste leggi faranno degli Stati Uniti il centro del mondo per gli asset digitali", ha dichiarato McHenry.

L'opposizione democratica sostiene che la legislazione dovrebbe affrontare gli interessi finanziari personali di Trump nello spazio delle criptovalute. Una disposizione della legge sulle stablecoin vieta, infatti, ai membri del Congresso di trarre profitto dalle stablecoin, ma il divieto non si estende al presidente e alla sua famiglia o al governo.

Secondo Forbes, le partecipazioni in criptovalute di Trump valgono circa 1 miliardo di dollari (860 milioni di euro), più di ogni singolo asset immobiliare del suo portafoglio.

La famiglia del presidente detiene una partecipazione significativa in World Liberty Financial, un progetto di criptovaluta che ha lanciato la propria stablecoin, USD1.

Trump ha dichiarato di avere guadagnato 57,35 milioni di dollari (49,2 milioni di euro) dalla vendita di token presso World Liberty Financial nel 2024, secondo una dichiarazione finanziaria pubblica rilasciata a giugno.

Alcuni democratici hanno anche criticato il rischio che il quadro normativo risulti troppo a lungo termine ed espresso il timore che la legge possa spingere le grandi aziende a emettere le proprie criptovalute.

03/10/2025

25 set 2025

Teatrino Trump e Von der Leyen stop petrolio russo

di: Web Master

Teatrino Trump e Von der Leyen stop petrolio russo

Bruxelles – Trump bacchetta l’Europa, ma l’Ue si gode la sua presunta svolta sull’Ucraina. Secondo l’inquilino della Casa Bianca, Kiev “può riconquistare tutti i territori” occupati da Mosca, e allora passi pure in secondo piano l’Europa “imbarazzante” che acquista ancora il greggio russo e che rischia di morire se non interverrà “sull’immigrazione e sulle sue idee energetiche suicide”. Anzi, sul primo punto per Ursula von der Leyen il tycoon ha “assolutamente ragione” e Bruxelles “deve accelerare”. Magari con l’aiuto dello stesso Trump, che ha suggerito che potrebbe chiamare personalmente Viktor Orban per convincerlo a non mettersi di traverso.

A margine dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite a New York, i due leader si sono incontrati per quello che von der Leyen ha definito un “proficuo colloquio”. L’accento è stato posto in particolare sul sostegno all’Ucraina e sulle sanzioni per colpire l’economia della Russia. “Entro il 2027, l’Europa avrà voltato definitivamente pagina sui combustibili fossili russi”, ha promesso von der Leyen. I due avrebbero poi affrontato le “provocazioni del Cremlino, comprese le incursioni regolari nello spazio aereo europeo”, si legge in una nota diffusa dalla Commissione europea. “Si tratta di chiari tentativi di mettere alla prova la nostra risposta“, ha ribadito von der Leyen a Trump. Questa mattina, un portavoce della Commissione europea ha dichiarato che “l’impegno ora forte e significativo” degli Stati Uniti è frutto del “lavoro instancabile” di Bruxelles per “garantirne il coinvolgimento”.

Anche a costo di essere accomodanti nei confronti del partner atlantico. Archiviato il sanguinoso accordo sui dazi – in cui l’Ue si è impegnata a acquistare energia dagli Usa per 750 miliardi di dollari entro il 2028 -, Trump ha manifestato a più riprese la propria irritazione per il flusso non ancora del tutto reciso di greggio russo verso l’Europa. Fino a definirla, nel suo lungo intervento al Palazzo di vetro, “imbarazzante”. Von der Leyen ha spiegato che l’Ue ha “già ridotto in modo massiccio” le forniture di gas, “eliminato completamente” il carbone e “ridotto significativamente” le forniture di petrolio, ammettendo che quest’ultimo “continua ad arrivare nel continente europeo”. Ma ribadendo: “Vogliamo sbarazzarcene”. Nel breve punto stampa congiunto, von der Leyen ha rilanciato, annunciando che l’Ue vuole “mettere dazi doganali sul petrolio che entra” dalla Russia.

Ursula von der Leyen Donald TrumpLa presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen e il presidente statunitense Donald Trump concordano l’intesa sui dazi, il 27 luglio 2025 (foto: Fred Guerdin via Imagoeconomica)

Nel 2024 l’Ue ha importato ancora 54 miliardi di metri cubi di gas e 13 milioni di tonnellate di petrolio dalla Russia. Secondo fonti Ue, gli Stati membri che importano ancora LNG russo sono Belgio, Paesi Bassi, Francia, Spagna, Portogallo. Dal gasdotto Turkstream, il gas russo continua a entrare in Grecia, Slovacchia e Ungheria. Queste ultime nel primo trimestre del 2025, avrebbero acquistato greggio russo rispettivamente per 1,1 miliardi e 1,2 miliardi di euro. Budapest e Bratislava beneficiano di una deroga al divieto di importazioni di petrolio russo, ma dovranno uniformarsi al calendario indicato dalla Commissione europea per estinguere tutti i contratti entro la fine del 2027.

Punzecchiata da Trump, la Commissione europea ha proposto, all’interno del 19esimo pacchetto di sanzioni, di anticipare il phase-out dall’LNG di Mosca al 31 dicembre 2026, un anno prima rispetto al calendario previsto da REPowerEU. Per approvare le sanzioni serve però l’unanimità dei 27. A New York, il ministro degli Esteri ungherese Péter Szijjártó avrebbe ribadito che l’Ungheria non rinuncerà alle forniture energetiche russe, nonostante le pressioni della Casa Bianca. Szijjártó ha chiuso: “Non possiamo garantire l’approvvigionamento sicuro per il nostro Paese senza le fonti di petrolio o gas russe”. L’Ungheria e la Slovacchia non hanno sbocchi sul mare e “si può acquistare solo l’energia che transita attraverso gli oleodotti che arrivano qui”, ha spiegato il ministro.

Trump ha dichiarato che “Orban è un amico” ed è parso fiducioso di poterlo convincere. “Questo è il suo piano di lavoro”, ha affermato oggi una portavoce dell’esecutivo Ue, “noi abbiamo il nostro”. La Commissione europea si è detta al contempo “pronta a facilitare qualsiasi accordo necessario con partner rilevanti”.

26/09/2025

25 set 2025

Novara, fotovoltaico. Meno 190 ettari di riso

di: Web Master

Novara, fotovoltaico. Meno 190 ettari di riso

Si tratta di un progetto proposto da un privato alla Cascina Margattino per cui l’amministrazione comunale ha espresso parere negativo

L'attuale risaia

Impianto fotovoltaico da oltre 16mila metri quadri al posto dei campi coltivati a riso. È ciò che potrebbe succedere a Cameri attraverso un progetto proposto da un soggetto privato. Nello specifico si tratta di un progetto di un impianto a terra di potenza pari a 8,5848 MWp e relative opere di connessione alla rete denominato "Rf-Trecampi" alla cascina Margattino a ridosso della tangenziale di Cameri: percorrendo la tangenziale verso il Lago Maggiore l’area è ben visibile sulla destra, dove si scorgono campi di riso con al centro una cascina.

L’intervento impegna una superficie complessiva di 16,42 ettari di cui 10,84 interessati dall’impianto. Lì non si potrà coltivare riso per i prossimi 25/30 anni.

L’impianto rispetta i vincoli e le norme dato che l'iter di approvazione è iniziato il 22 maggio 2023, prima della legge del 12 luglio 2024 (divieto di installazione di nuovi impianti fotovoltaici a terra).

Al momento è stata avviata la conferenza dei servizi da parte della Provincia e i vari soggetti, pur con la consapevolezza che si tratti di un progetto privato, hanno potuto esprimere il loro parere, amministrazione comunale compresa.

Il progettoIl progetto

Il "No" dell'amministrazione comunale

"Non siamo contrari al fotovoltaico, siamo contrari al metodo. Ben venga l’energia rinnovabile, ma su aree di bonifica, non su aree che si possono compromettere, vedi i campi coltivati a riso" dice il sindaco Giuliano Pacileo.

"Tale situazione non favorisce e non tutela la biodiversità, - si legge inoltre in una nota dell’amministrazione locale - le mitigazioni ambientali, previste da progetto per ridurre l’impatto visivo e creare una fascia a verde di transizione tra l’intervento e il territorio agricolo circostante, su carta funziona ma purtroppo il cono ottico dalla tangenziale di Novara (strada Statale n.703 ), essendo questa sopraelevata, sommandosi con l’altro impianto attiguo su territorio novarese, anch'esso in fase autorizzativa, risulterà devastante, e non si tratterà di suggestione.

L’impianto di rete per la connessione a 15 KV attraverserà tutto il nostro paese da sud a nord nello specifico da Cascina Margattino si svilupperà sulla strada Provinciale 2 per Novara, via Gabardini, via Leonardo da Vinci, via San Biagio, via Matteotti, via San Giuseppe, via Massimo D’Azeglio, via Montimperiale sino ad arrivare alla cabina primaria nelle vicinanze della ditta Meritor".

Un intervento che creerà "danni di impatti acustico, disagi alla viabilità e alla sicurezza e anche danni ai sedimi stradali che se non adeguatamente ripristinati creeranno contestazioni con i cittadini cameresi a cui l’amministrazione dovrà rispondere, cosa già vissuta con la posa della fibra. Le disponibilità del bilancio comunale, inoltre, non consentono di affrontare nuove spese per interventi di asfaltature, non solo, queste opere andranno a vanificare quanto già faticosamente realizzato negli anni con denaro pubblico".

Fotovoltaico anche in altre zone della provincia

Proprio di pannelli fotovoltaici si è parlato nelle ultime settimane, con alcune prese di posizione. A Oleggio Castello per esempio è arrivato un "No" da parte di Legambiente e i pannelli sono stata tematica anche a Invorio.


25/09/2025

14 set 2025

Fotovoltaico: Australia tassa chi lo usa

di: Web Master

Fotovoltaico: Australia tassa chi lo usa

Fotovoltaico, in Australia si tassa chi sceglie le rinnovabili. Ci saranno ripercussioni anche in Italia?

Nella prima metà del 2024, l'Australia ha imposto una tassa sugli impianti fotovoltaici per gestire il surplus energetico e prevenire la congestione della rete. Questa misura, sebbene impopolare, è stata adottata per affrontare problemi simili a quelli di altri Paesi. La prima metà del 2024 è stata segnata da un avvenimento paradossale per le fonti rinnovabili in Australia: ai proprietari di impianti fotovoltaici è stata imposta una tassa per immettere energia nella rete nazionale.

Questo provvedimento appare davvero illogico a coloro che hanno deciso di investire nelle fonti rinnovabili per avere energia pulita e, al tempo stesso, non sostenere i costi della rete. Il governo australiano ha stabilito questa misura per sostenere spese impreviste che, in realtà, interessano già Paesi come Germania, Olanda, Danimarca, Spagna e Portogallo e che potrebbero interessare anche l’Italia.

L’energia prodotta da fonti rinnovabili ha il pregio di avere un costo di produzione molto basso e di non derivare da combustibili fossili. Tuttavia, la gestione della produzione, non essendo costante, può a volte creare dei problemi. Infatti, in alcune stagioni, fasce orarie e a determinate condizioni meteorologiche, la produzione sarà scarsa, mentre in altre l’energia prodotta sarà in eccesso e difficile da ripartire. In Australia, ci si è trovati di fronte a un surplus di energia da gestire, che ha portato i prezzi dell’energia addirittura a livelli negativi. Le infrastrutture sono spesso incapaci di gestire la troppa energia prodotta, e il governo australiano ha introdotto la tassa per evitare il sovraccarico della rete e la conseguente congestione. Le inefficienze della rete stanno causando questo problema anche in Europa.

Ci troviamo, quindi, di fronte a una situazione paradossale: molti Paesi hanno stanziato incentivi per installare pannelli fotovoltaici e, a causa della grande adesione, ora non sanno come gestire l’energia prodotta, finendo per tassarla, come nel caso australiano.

Potrebbe accadere anche in Italia? Attualmente, in Italia, non è possibile avere prezzi negativi per l’energia, poiché non sono previsti dalla normativa nazionale del mercato. Tuttavia, con la condivisione delle regole di bilanciamento energetico europeo, il nostro Paese potrebbe presto trovarsi in una situazione simile a quella australiana e potrebbe introdurre una tassa sugli impianti fotovoltaici.

Articolo del luglio 24

14/09/2025

27 ago 2025

Palantir crea catene di uccisione

di: Web Master

Palantir crea catene di uccisione


L'azienda di analisi di dati è molto vicina a Donald Trump e punta a espandersi in Europa e nel settore militare





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Elon Musk e Alex Karp, CEO di Palantir (AP Photo/J. Scott Applewhite)Elon Musk e Alex Karp, CEO di Palantir (AP Photo/J. Scott Applewhite)

Nella trilogia del Signore degli Anelli, i Palantíri sono delle sfere magiche grazie alle quali è possibile comunicare a distanza con chiunque ne stia osservando una a sua volta. Sono rarissime ed estremamente resistenti: il loro nome significa “coloro che sorvegliano da lontano”. È a questi oggetti magici che si deve il nome di Palantir Technologies, una delle aziende più controverse del settore tecnologico, le cui azioni sono aumentate in valore di cinque volte nell’ultimo anno, portandone la valutazione complessiva a 380 miliardi di dollari.

Palantir è stata fondata nel 2003 ma solo recentemente ha fatto parlare di sé, soprattutto per i suoi legami con il governo e l’esercito statunitense, e le sue ambizioni di espansione, che riguardano anche l’Europa. Anche per questo, attorno all’azienda circolano sospetti e timori crescenti, anche se in pochi sanno cosa faccia veramente. Oggi Palantir viene citata sia che si parli di intelligenze artificiali sia di sicurezza nazionale o sorveglianza. Ufficialmente, però, non fa nulla di tutto questo: Palantir si occupa di analizzare dati e di produrre software in grado di integrarli, unendo informazioni provenienti da fonti diverse in un unico archivio.

A rendere l’azienda particolarmente ricca, potente e inquietante è il legame sempre più stretto che ha creato in pochi mesi con l’amministrazione di Donald Trump. Un legame confermato da Trump stesso, che lo scorso luglio, nel corso di un incontro pubblico sulle intelligenze artificiali, ha commentato: «compriamo un sacco di cose da Palantir».

I prodotti di punta di Palantir sono due software chiamati Foundry e Gotham, che sono pensati per clientele diverse. Foundry è rivolto soprattutto a imprese private e permette di usare grandi quantità di dati per gestire meglio le giacenze di magazzino, gli ordini e la produzione industriale. Gotham, invece, è destinato ad agenzie governative, forze dell’ordine ed eserciti, e permette di analizzare e incrociare dati provenienti da reparti diversi. Entrambi sono sempre più diffusi negli Stati Uniti e ormai anche in Europa.

Questi software sono stati progettati per essere utilizzati anche da chi non ha competenze informatiche e per funzionare con i programmi già in uso nelle aziende o nelle agenzie. Una delle applicazioni più apprezzate di Gotham e Foundry è appunto la possibilità di unire archivi di informazioni da fonti diverse, eliminando i cosiddetti “silos di dati”, le barriere tecnologiche che separano le informazioni raccolte da reparti diversi. Una volta unificati, i dati possono essere analizzati grazie alle tecnologie di Palantir, che usa potenti intelligenze artificiali per individuare pattern invisibili tra le informazioni raccolte.

Quando a marzo Trump ha firmato un ordine esecutivo per richiedere alle agenzie federali di condividere tra di loro le informazioni, al centro della decisione c’erano proprio le tecnologie di Palantir. Dietro a quella che è stata presentata come una campagna per l’efficienza informatica, però, sono stati segnalati grossi rischi: secondo alcuni parlamentari del Partito Democratico, infatti, l’amministrazione vuole usare i software di Palantir per ottimizzare la persecuzione di immigrati e dissidenti politici.

A tal proposito, lo scorso aprile la rivista Wired ha rivelato che l’ICE (l’agenzia statunitense per il controllo delle frontiere e dell’immigrazione) ha pagato Palantir 30 milioni di dollari per un software, detto “ImmigrationOS”, in grado di monitorare la presenza di immigrati irregolari e di selezionare quali espellere dagli Stati Uniti.

Una delle principali accuse rivolte all’azienda è proprio quella di usare i cosiddetti big data (l’analisi di enormi moli di dati), le AI e le tecnologie per la sorveglianza per predire i crimini e chi li compirà. Questo tipo di operazioni, svolte soprattutto usando il software Gotham, avvengono senza alcun tipo di trasparenza e tutela nei confronti delle persone coinvolte, che spesso vengono “flaggate” (cioè segnalate) dall’algoritmo sulla base del loro profilo etnico o religioso.

Negli scorsi mesi, Palantir ha stretto accordi con il Pentagono e il dipartimento della Sicurezza nazionale, e con agenzie come la Social Security Administration e l’Internal Revenue Service (che si occupano rispettivamente di pensioni e fisco), che useranno Foundry per velocizzare e ottimizzare i loro processi. Poche settimane fa, Palantir ha vinto anche un appalto decennale da dieci miliardi di dollari con l’esercito statunitense.

L’azienda ha sempre avuto un rapporto privilegiato con il settore militare e della sicurezza nazionale: tra i suoi primi investitori ci fu In-Q-Tel, la società di investimenti della CIA, mentre uno dei suoi fondatori è Peter Thiel, già cofondatore di PayPal e punto di riferimento di quella parte di settore tecnologico vicina a posizioni trumpiane. Thiel fu tra i primi sostenitori pubblici di Donald Trump, sin dal 2016, e ha una forte influenza su molti altri imprenditori e CEO, tra cui Elon Musk.

A favorire l’ascesa di Palantir è stato proprio il dipartimento per l’Efficienza del governo (DOGE in inglese) voluto da Musk e nato per ridurre gli sprechi nelle spese governative. DOGE ha cancellato molti dei contratti che legavano il governo statunitense ad alcune delle principali società di consulenza del mondo, come Accenture, Booz Allen e Deloitte, in favore proprio di Palantir, che ha potuto accumulare enorme influenza in poco tempo.

Invece di sostituirle del tutto, Palantir ha preferito continuare a collaborare con le società di consulenza escluse da DOGE, a patto che usino i software dell’azienda: lo scorso giugno Accenture ha presentato un progetto per la formazione di mille dipendenti all’utilizzo di Foundry e anche Deloitte ha sottoscritto un accordo simile.

La vicinanza tra DOGE e Palantir è dimostrata anche dal fatto che alcuni membri del dipartimento sono arrivati proprio da Palantir, senza contare che Musk e Thiel si conoscono da più di vent’anni, avendo fondato assieme PayPal alla fine degli anni Novanta.

Grazie a queste relazioni spesso personali, Palantir è potuta diventare «lo sviluppatore di software di riferimento del governo» statunitense, come l’ha definita Wired. Dalla sua quotazione in borsa, avvenuta nel 2020, il titolo dell’azienda è cresciuto di più del 1.500 per cento, raddoppiando a partire da gennaio di quest’anno.

L’azienda è attiva anche al di fuori degli Stati Uniti, sulla base di principi politici piuttosto chiari. Secondo il suo CEO Alex Karp, Palantir segue una «visione consistentemente pro-Occidente» e ha come obiettivo la difesa dello stile di vita occidentale, che Karp ha definito «superiore». Palantir, quindi, non fa affari con Cina, Russia o altre nazioni ritenute ostili all’Occidente: secondo Thiel, l’azienda tratta solo con governi «più allineati e meno corrotti», anche perché «con le nazioni corrotte, non si viene pagati».

Oltre che con gli Stati Uniti, Palantir collabora con aziende britanniche, olandesi, tedesche, francesi, indiane e svizzere, tra le altre, e con un limitato numero di governi e forze di polizia o militari, tra i quali quelli di Israele, Germania e Regno Unito.

Recentemente Palantir è stata fortemente criticata per la sua collaborazione con l’esercito israeliano (IDF) e per il suo ruolo nella guerra di Gaza. Secondo alcune ricostruzioni giornalistiche, Palantir avrebbe contribuito anche allo sviluppo di Gospel e Lavender, due controversi sistemi informatici che l’IDF usa per identificare gli obiettivi da colpire tra la popolazione palestinese. Palantir ha smentito sostenendo che queste tecnologie fossero in dotazione all’esercito israeliano da prima dell’inizio della loro collaborazione.

Un recente report di Francesca Albanese, giurista e relatrice speciale delle Nazioni Unite sui territori palestinesi occupati, ha accusato diverse aziende private di lucrare sulla distruzione di Gaza. Secondo Albanese, «vi sono ragionevoli motivi per ritenere che Palantir abbia fornito strumenti predittivi per l’attività di polizia, infrastrutture di difesa fondamentali per la costruzione e l’implementazione rapida e su larga scala di software militari» all’IDF.

Il software Gotham di Palantir viene utilizzato dalle forze di polizia di alcuni stati federati tedeschi (Baviera, Assia e Renania Settentrionale-Vestfalia), e in alcune contee nell’est dell’Inghilterra. In molti di questi casi ci sono state proteste e richieste di interrompere l’utilizzo del software dell’azienda, accusata di violare le norme vigenti sullo sfruttamento dei dati personali dei cittadini.

Nel 2023 inoltre, l’allora governo conservatore britannico firmò un accordo da 330 milioni di sterline con Palantir per la gestione dei dati nel National Health Service, il Servizio sanitario nazionale del Regno Unito, e la creazione di un nuovo archivio di dati. Il contratto fu criticato da molti attivisti e dall’associazione nazionale dei medici britannici per i legami dell’azienda con l’industria della sorveglianza militare. Secondo il Guardian, tra i dati sfruttati da Palantir ci sarebbero informazioni biomediche e mediche, dati provenienti dai social media, dalle geolocalizzazioni dei dispositivi personali, dalle schede SIM e dai droni di sorveglianza.

I legami tra Palantir e le forze di polizia statunitensi fanno discutere da ormai dieci anni: già nel 2017 il sito BuzzFeed News raccontò il travagliato rapporto tra l’azienda, all’epoca relativamente sconosciuta, e la polizia di New York, che era iniziato nel 2012. Quando la polizia decise di non rinnovare il contratto con Palantir in favore di un nuovo software sviluppato con IBM, Palantir fece il possibile per interferire e si rifiutò di consegnare una copia delle analisi dei dati effettuate sulla base delle informazioni fornite dal dipartimento di polizia.

Nonostante tutto, al netto dei molti contratti ottenuti in così poco tempo, c’è chi ritiene che il titolo in borsa di Palantir abbia un valore troppo alto, e sia trainato dall’entusiasmo nei confronti delle intelligenze artificiali, un settore di cui Palantir fa parte solo in modo tangenziale. Come ha scritto il Financial Times, «la crescita di Palantir è da sogno, la sua valutazione invece è pura fantasia».

“Catene di uccisione digitale”: il lato oscuro della tecnologia in guerra

The Cradle. Di Anis Rais. Palantir Technologies, Starlink e altri giganti della tecnologia stanno cogliendo l’opportunità di testare le applicazioni belliche dei loro prodotti sui civili di Gaza, trasformando la Striscia assediata in un banco di prova per la loro tecnologia?

Negli ultimi anni l’intersezione tra tecnologia e guerra è stata oggetto di critiche da parte dell’opinione pubblica, sollevando profonde questioni etiche e legali sull’uso militare statale di strumenti tecnologici avanzati. Il ruolo dell’analisi avanzata dei dati e dell’intelligenza artificiale (IA) nei conflitti moderni è oggetto di un attento esame, soprattutto quando sono in gioco le vite dei civili.

Con l’avanzare del genocidio a Gaza, l’attenzione si sta rivolgendo alle aziende le cui tecnologie potrebbero facilitare le atrocità quotidiane di Israele, tra cui la Palantir Technologies con sede negli Stati Uniti.

Mentre la Corte penale internazionale (CPI) interviene per affrontare le accuse di genocidio, i baroni della tecnologia che progettano e forniscono gli strumenti di guerra rimangono in gran parte incontrastati.

Dall’8 ottobre, oltre 37 mila palestinesi sono stati uccisi in un brutale conflitto che ha lasciato più vittime di tutte le altre guerre messe insieme negli ultimi due anni. Questa sconcertante perdita di vite innocenti ha rinnovato il controllo sulle tecnologie che prendono di mira erroneamente e sistematicamente i civili anziché i combattenti.

Palantir integrata in Israele.

Aziende come Palantir Technologies, guidata dal Ceo Alex Karp, sono implicate nel consentire alcune di queste atrocità. L’analisi avanzata dei dati e gli strumenti di intelligenza artificiale che presumibilmente forniscono un “bersaglio di precisione” stanno uccidendo in massa i civili e hanno trasformato la guerra in una campagna calcolata e sistematica di sterminio con scarsa supervisione umana.

Fondata nel 2003 da Karp e Peter Thiel, Palantir Technologies è cresciuta: da startup di analisi segreta dei dati è diventata una pietra miliare delle moderne operazioni militari e di intelligence. Inizialmente finanziati dal ramo di venture capital della CIA, In-Q-Tel, i prodotti tecnologici di Palantir sono diventati parte integrante di numerose agenzie governative statunitensi, tra cui l’Fbi, il Dipartimento della Difesa e vari dipartimenti di polizia.

Questo profondo coinvolgimento con l’intelligence e gli organismi militari statunitensi ha aperto la strada all’allineamento strategico di Palantir con Israele.

Il coinvolgimento del gigante tecnologico in Israele precede di molti anni i suoi accordi formali. La società aprì un ufficio a Tel Aviv nel 2015, in posizione strategica con vista su Rothschild Boulevard da un lato e Yehuda Halevy Street dall’altro.

Questa posizione sottolinea la profonda integrazione dell’azienda nell’ecosistema tecnologico israeliano. Lo stesso Karp ha evidenziato i forti legami di Palantir con Israele in un’intervista del dicembre 2023 su Fox Business, affermando: “Siamo molto conosciuti in Israele. Israele apprezza il nostro prodotto”.

Formalizzazione del partenariato.

La partnership tra Palantir e l’esercito israeliano ha iniziato a consolidarsi con un accordo formale firmato il 12 gennaio 2024 – tre mesi dopo l’inizio del genocidio dei palestinesi a Gaza – in seguito a una visita dei dirigenti dell’azienda in Israele, durante la quale si è tenuta la prima riunione del’anno del consiglio d’amministrazione a Tel Aviv.

Come ha dichiarato il vicepresidente esecutivo della Palantir, Josh Harris, “Entrambe le parti hanno concordato di sfruttare la tecnologia avanzata della Palantir a sostegno delle missioni legate alla guerra”, un eufemismo per ciò che è stato qualificato come abilitante per azioni genocide.

L’arsenale di strumenti tecnologici di Palantir – simili alle armi digitali di distruzione di massa – è attualmente utilizzato dall’esercito di occupazione, senza lasciare dubbi sulla complicità dell’azienda nel genocidio in corso.

La brutale realtà della precisione.

La recente carneficina a Rafah del 26 maggio, in cui Israele ha bombardato un campo profughi, uccidendo decine di palestinesi, e la morte di sette lavoratori della World Central Kitchen ad aprile durante gli attacchi aerei, evidenziano il brutale uso improprio della cosiddetta tecnologia di “precisione” di Palantir.

Il sistema TITAN dell’azienda, promosso come un modello di intelligenza artificiale altamente accurato progettato per migliorare la precisione del bersagli, incarna i problemi con le capacità di alta precisione dichiarate da Palantir. Sebbene non vi sia alcuna prova diretta che TITAN, nello specifico, sia utilizzato da Israele, le pretese tecnologiche dell’azienda sono parte integrante della sua offerta più ampia di prodotti, alcuni dei quali sono impiegati da Tel Aviv.

Commercializzato per fornire intelligenza utilizzabile in tempo reale e integrare i dati dei sensori per una precisione millimetrica, il sistema TITAN di Palantir è pubblicizzato per ridurre i danni collaterali. Tuttavia, a Gaza, il dispiegamento della tecnologia Palantir non ha impedito ma facilitato diffuse perdite e distruzioni civili. Le tragedie di Rafah e la morte degli operatori umanitari mettono in luce la grottesca ironia e il devastante costo umano di tale “accuratezza”.

La collaborazione ha profondamente integrato Palantir nell’infrastruttura militare israeliana, fornendo delle fondamenta tecnologiche o “digitali” per le brutalità a Gaza e negli altri Territori palestinesi occupati.

Titani della tecnologia in guerra.

Dato che Palantir è attiva in Israele dal 2015, la tempistica dell’accordo strategico, soprannominato “Partnership for Battle Tech”, all’inizio del 2024, solleva seri interrogativi.

Si è trattato di una mossa calcolata da parte della Palantir per utilizzare il conflitto intensificato come un’opportunità per testare i propri modelli di intelligenza artificiale sui civili, trasformando Gaza in un raccapricciante banco di prova per la loro tecnologia? Questo suggerimento getterebbe un’altra ombra oscura sull’etica di Palantir, implicando che la loro strategia aziendale potrebbe comportare lo sfruttamento della sofferenza umana per il progresso tecnologico.

Il profondo coinvolgimento di Palantir nelle infrastrutture militari israeliane fa parte di un modello più ampio e preoccupante di tecnologia per la guerra. Questa connessione si estende a un altro gigante della tecnologia: Starlink di SpaceX, guidato da Elon Musk. Comprendere questa intricata relazione è fondamentale per capire come i conflitti moderni siano sempre più guidati da tecnologie avanzate sviluppate da società private.

In Ucraina, la collaborazione tra Palantir e Starlink illustra chiaramente il profondo impatto della tecnologia integrata sulla guerra. I modelli di intelligenza artificiale di Palantir forniscono all’esercito ucraino l’analisi dei dati essenziali, trasformando le immagini grezze provenienti da droni, satelliti e rapporti di terra in informazioni utilizzabili in tempo reale.

Questo processo, che Karp, CEO di Palantir, definisce in modo agghiacciante una “catena di uccisione digitale”, è diventato centrale nella strategia di difesa dell’Ucraina, consentendo bersagli precisi e valutazioni sul campo di battaglia. Allo stesso tempo, Starlink di Elon Musk garantisce una comunicazione ininterrotta per le forze ucraine, mantenendo un flusso continuo di informazioni critiche vitali per la guerra moderna.

La guerra in Ucraina, ovviamente, si è rivelata catastrofica, con perdite militari ucraine che si sono accumulate in cifre sorprendenti, il tutto mentre il presidente Volodymyr Zelenskyj – nonostante l’assistenza di tecnologie all’avanguardia da parte dei baroni della tecnologia – e i suoi alleati nelle capitali occidentali fingono il contrario.

Ora, la guerra di Israele contro Gaza sembra stia precipitando in un pantano simile. Il primo ministro Benjamin Netanyahu, come Zelenskyj, sembra politicamente distaccato dalle cupe realtà militari sul campo, contando, a quanto pare, sulla falsa illusione di controllo fornita dai baroni della tecnologia attraverso un supporto tecnologico “sofisticato”.

La controversa approvazione di Starlink a Gaza.

Il 12 gennaio il governo israeliano ha approvato l’uso dei servizi Starlink presso l’ospedale Al-Shifa di Gaza, apparentemente per scopi medici.

Questa approvazione non dovrebbe essere vista come un gesto puramente umanitario. Essa getta invece le basi per un’altra potenziale insidiosa integrazione tra Palantir e Starlink, rispecchiando la loro collaborazione in Ucraina.

Abilitando la comunicazione satellitare avanzata, l’approvazione di Starlink a Gaza sostiene potenzialmente le operazioni militari, suggerendo l’istituzione di una “catena di uccisione digitale” dietro la foglia di fico degli aiuti umanitari.

Il brutale assedio dell’ospedale Al-Shifa da parte delle forze israeliane, e le gravi atrocità contro i civili e il personale medico, contraddice nettamente qualsiasi presunto intento altruistico dietro lo spiegamento di Starlink. Dopo un assedio di due settimane terminato il 1° aprile, l’ospedale Al-Shifa è stato in gran parte distrutto e centinaia di palestinesi morti sono stati trovati dentro, intorno all’ospedale e anche in fosse comuni.

La domanda sorge spontanea: questa approvazione altamente pubblicizzata di Starlink a Shifa è stata una morbida salva di pubbliche relazioni che ha gettato le basi per integrare i prodotti dell’azienda nelle operazioni militari israeliane all’interno della Striscia di Gaza? I tempi e il contesto di questi sviluppi sollevano interrogativi inquietanti sulle reali intenzioni sia di Starlink che di Tel Aviv.

Entra Musk.

La visita altamente pubblicizzata di Musk in Israele, il 27 novembre 2023, dove ha incontrato Netanyahu, è stata ben lungi dall’essere un semplice evento diplomatico. Musk, che ha meticolosamente coltivato un’immagine di campione della libertà di parola attraverso l’acquisizione della piattaforma di social media X – un ruolo che coltiva come un’armatura scintillante accuratamente realizzata su misura – si è trovato intrappolato in una dimostrazione di propaganda orchestrata da Israele.

Questo scenario ricorda il mito di Icaro, che, nonostante il caldo, volò troppo vicino al sole con ali fatte di cera e piume.

Allo stesso modo, il coinvolgimento di Musk con Netanyahu e il governo israeliano, in mezzo al crescente controllo sui crimini di guerra, minaccia di distruggere la sua immagine meticolosamente costruita. In retrospettiva, con l’intensificarsi delle indagini della CPIC sui crimini di guerra, questo incontro getta una lunga ombra sulla personalità attentamente coltivata di Musk.

Ritenere responsabili i dirigenti tecnologici.

Recenti azioni legali, come il caso nel Regno Unito intentato dal Centro internazionale di giustizia per i palestinesi (Icjp) contro i ministri britannici, evidenziano il crescente sforzo per portare i responsabili a rispondere sul genocidio.

Tuttavia, figure di spicco del settore tecnologico rimangono evidentemente in disparte. Ma perché? Questa situazione rispecchia il perseguimento giudiziario di individui nella Germania nazista che hanno reso possibile l’Olocausto attraverso le loro capacità tecnologiche e logistiche di sostegno, sottolineando la necessità di una responsabilità globale nei tempi moderni.

Gli statuti della Corte penale internazionale (Cpi), del Tribunale penale internazionale per l’ex Jugoslavia (Icty) e del Tribunale penale internazionale per il Ruanda (Ictr) riconoscono esplicitamente varie forme di complicità. Questi includono il favoreggiamento, che comprende la fornitura degli strumenti necessari e il sostegno per commettere crimini di guerra e genocidio.

Questo quadro giuridico implica che i dirigenti tecnologici, le cui innovazioni facilitano la violenza su larga scala, dovrebbero essere ritenuti responsabili ai sensi del diritto internazionale.

L’intersezione tra tecnologia avanzata e guerra, guidata da potenti magnati della tecnologia, illustra una realtà agghiacciante: gli strumenti progettati per connettere e proteggere vengono riproposti per distruggere e devastare. Peggio ancora, sembra che i campi di guerra come Gaza siano visti come terreni di prova relativamente privi di rischi per questi sistemi tecnologici. È tempo di rendere le collaborazioni commerciali con il genocidio un’impresa ad alto rischio, e tali sforzi devono iniziare in tribunale.

27/08/25

24 ago 2025

Euro digitale: UE sceglie blockchain pubblica

di: Web Master

Euro digitale: UE sceglie blockchain pubblica



Introduzione: Euro Digitale e Nuova Competizione Globale

L’arrivo dell’euro digitale rappresenta una svolta significativa per la finanza europea e globale. L’Unione Europea da anni investe nello sviluppo di una valuta digitale europea per rispondere alle trasformazioni indotte da criptovalute, stablecoin e, più recentemente, dalle spinte provenienti da altri grandi player mondiali, come gli Stati Uniti. La recente approvazione di una legge sulle stablecoin in America ha impresso un'accelerazione decisiva sul progetto dell’euro digitale.

Secondo le informazioni riportate dal Financial Times, la discussione al centro delle istituzioni europee — in primis la BCE — coinvolge ora l’ipotesi di scegliere una blockchain pubblica europea per supportare la nuova moneta digitale sovrana, in diretto confronto con tecnologie già affermate come Ethereum o Solana. Una decisione che pone l’Europa all’avanguardia nella corsa delle valute digitali delle banche centrali e che potrebbe definire i nuovi equilibri finanziari del prossimo decennio.

Il Contesto Internazionale: Sfida tra Euro Digitale e Dollaro Digitale

Negli ultimi anni il dibattito sulle valute digitali delle banche centrali (central bank digital currency Europa) si è intensificato su scala globale. Gli Stati Uniti hanno compiuto passi decisi per lanciare una versione digitale del dollaro, mentre la Cina è già in una fase avanzata con lo yuan digitale. In questo scenario, l’Unione Europea non può permettersi di restare indietro: la competitività globale e la sovranità monetaria sono in gioco.

La recente legge stablecoin Stati Uniti euro ha spostato l’attenzione degli osservatori internazionali: se da un lato si intende regolamentare le ingenti movimentazioni di stablecoin legate al dollaro, dall’altro si innesca un effetto domino che coinvolge direttamente anche la BCE e il lancio euro digitale UE. L’opzione di adottare una blockchain pubblica, anziché una soluzione privata o consortile, rappresenta una risposta innovativa per bilanciare trasparenza, inclusività e resilienza tecnologica.

Stablecoin e Legge USA: Come Cambiano gli Equilibri

L’approvazione della legge americana sulle stablecoin segna un punto di svolta. Le stablecoin — criptoasset ancorati al valore di valute reali, tipicamente il dollaro — sono diventate strumenti di pagamento e riserva di valore sempre più utilizzati a livello globale. Gli Stati Uniti, nel tentativo di mantenere la loro leadership, hanno quindi definito una disciplina ad hoc per garantire sicurezza e controllo sulle nuove forme di moneta digitale.

Per la BCE e l’Unione Europea questa mossa rappresenta anche un campanello d’allarme: senza un intervento deciso sul fronte della valuta digitale europea, il rischio è che la domanda globale si sposti ulteriormente verso strumenti ancorati al dollaro — marginalizzando l’euro non solo come moneta commerciale, ma anche come riserva negli scambi digitali del futuro.

Il richiamo al confronto dollaro digitale euro è quindi centrale: Bruxelles intende evitare che il sistema finanziario europeo diventi periferico nello scenario delle central bank digital currency. Da qui l’accelerazione sul progetto e la necessità di soluzioni tecnologiche solide e interoperabili.

Il Ruolo dell’Eurotower e della BCE nel Progetto di Moneta Digitale Europea

Al centro della partita c’è la Banca Centrale Europea. L’Eurotower lavora formalmente dal 2021 al progetto euro digitale, coinvolgendo esperti, stakeholder, banche commerciali e autorità regolamentari. L’obiettivo è ambizioso: creare un nuovo strumento di pagamento digitale, accessibile, sicuro e capace di rafforzare l’autonomia strategica dell’Europa.

Nel dettaglio, la BCE valuta vari modelli di governance e controllo:

  1. Blockchains private a controllo centralizzato, con accesso riservato a operatori finanziari selezionati.
  2. Infrastrutture pubbliche e open source, come Ethereum e Solana, note per la loro trasparenza, scalabilità e sicurezza.

La discussione, resa più urgente dalle evoluzioni legislative americane, vede una prevalenza crescente della seconda opzione, che promette maggiore trasparenza, interoperabilità e fiducia da parte di cittadini e imprese. La scelta tra privato e pubblico si incrocia inoltre con la volontà della BCE di contrastare efficacemente i rischi di dollarizzazione digitale.

24/08/25

24 ago 2025

Blackrock dirigerà il world economic Forum

di: Web Master

Blackrock dirigerà il world economic Forum


Cambio di direzione ai vertici della più potente organizzazione internazionale che riunisce ogni anno il gotha della finanza, dell’industria e del mondo politico e accademico. Dopo gli scandali legati al fondatore e precedente presidente del World Economic Forum (WEF) – l’ingegnere ed economista tedesco Klaus Schwab – pochi giorni fa l’amministratore delegato di BlackRock, Larry Fink, e l’erede farmaceutico svizzero André Hoffmann hanno annunciato che assumeranno ad interim la guida dell’organizzazione con sede a Ginevra. «Siamo onorati di assumere questo ruolo di leadership ad interim in un momento cruciale per il World Economic Forum. […] Il mondo è più frammentato e complesso che mai, ma la necessità di una piattaforma che riunisca imprese, governi e società civile non è mai stata così forte», si legge nel comunicato stampa firmato dai due copresidenti.

Noto per le sue riunioni annuali a Davos, nelle Alpi svizzere, il WEF è spesso accusato dai critici di esercitare illegittime interferenze all’interno dei governi, plasmando una vera e propria agenda globale che prevede un nuovo paradigma di governo mondiale, indicato come “governance globale”, che si può sostanzialmente definire tecnocratico. Del resto, è stato proprio Klaus Schwab, insieme all’attuale re d’Inghilterra Carlo III, a formulare il piano e la necessità di un “Grande reset” all’insegna della tecnologia e della digitalizzazione della società, subito dopo la pandemia di COVID 19 per rispondere a quelle che vengono definite le “sfide globali”. Un piano da imporre agli Stati in modo non democratico che ha suscitato molte polemiche e che ha sottolineato il grande potere d’influenza della fondazione internazionale, considerata il braccio operativo della finanza globale.

Il WEF – che si autodefinisce un’«organizzazione internazionale per la cooperazione pubblico-privata» – è una realtà costituita da Big Tech (Microsoft, Google, Meta), Big Pharma (Pfizer, Moderna, Roche) e Élites finanziarie (BlackRock, Vanguard, UBS), tutte in grado di influenza ogni settore della vita pubblica, dalla salute all’istruzione ai media. La nomina a copresidente di André Hoffmann evidenzia bene anche il peso del settore farmaceutico nell’organizzazione: Hoffmann, infatti è l’attuale Vicepresidente del Consiglio di Amministrazione della casa farmaceutica Roche Holding.

Tale potere d’influenza della finanza internazionale è ora apertamente dichiarato con l’elezione a copresidente dell’amministratore delegato del fondo d’investimento più grande al mondo, Larry Fink. BlackRock, con un patrimonio gestito di 12.530 miliardi di dollari nel 2024, è da molti considerato come un “governo mondiale invisibile” per la sua capacità di influenzare le politiche internazionali grazie alle sue ingenti partecipazioni nelle più importanti istituzioni bancarie, assicurative, nei media e nelle principali corporation del mondo, oltre che per la sua capacità di comprare i titoli per il rifinanziamento del debito pubblico degli Stati. Agisce anche come consulente non ufficiale di governi e banche centrali. In Italia, la Roccia Nera gestisce circa cento miliardi di euro con partecipazioni in importanti banche e aziende, tra cui Intesa San Paolo, ENI, Mediaset, Unicredit, Finmeccanica e Atlantia (società che controlla Autostrade per l’Italia).

Dietro la maschera della filantropia e del bene comune e attraverso organizzazioni come il WEF, i capitali internazionali riescono, o quantomeno provano, a imporre la propria agenda, facendo leva sul loro potere economico. Il risultato è un accentramento e una verticalizzazione non solo della ricchezza, ma anche del potere decisionale, sottratto sempre più ai governi e ai parlamenti eletti, ormai subordinati al potere del denaro e al Moloch della finanza globale. Non a caso, già nel 2022, il WEF avvertiva che «sia le nostre istituzioni che i nostri leader non sono più adatti al loro scopo» e che i governi non possono più agire da soli, ma devono necessariamente tenere conto del settore privato, delle istituzioni sovranazionali e dello stesso WEF.

Recentemente, Larry Fink è approdato anche in Italia per un incontro di alto livello con il Primo ministro italiano Giorgia Meloni: secondo quanto dichiarato nella nota rilasciata dalla presidenza del Consiglio, al centro del colloquio c’era «un approfondito scambio di vedute su possibili investimenti del fondo USA in Italia». In altre parole, Black Rock potrebbe acquisire quote di alcuni asset strategici di proprietà dello Stato che il governo ha deciso di privatizzare e/o comprare alcuni titoli di Stato.

Il WEF è ora gestito, dunque, direttamente dal cuore della finanza internazionale che continuerà a dettare l’agenda della governance globale, potendo contare su un’articolata rete di capitali e aziende internazionali. Un potere a cui difficilmente i governi, soprattutto occidentali, riescono a sottrarsi, considerato che dipendono completamente dai mercati finanziari e dal culto ideologico del libero mercato. Lo stesso culto che ha permesso l’affermazione senza limiti di giganti come BlackRock. «Non vediamo l’ora di contribuire a plasmare un futuro più resiliente e prospero e di reinventare e rafforzare il Forum come istituzione indispensabile per la cooperazione pubblico-privato», hanno dichiarato nel comunicato ufficiale i due nuovi copresidenti.

24/08/25

11 ago 2025

Dazi su oro? Il mercato impazzisce

di: Web Master

Dazi su oro? Il mercato impazzisce

Un'agenzia governativa statunitense aveva formalmente stabilito che i lingotti d'oro sarebbero stati soggetti a dazi, causando il caos nei mercati dei metalli preziosi. Le spedizioni si sono bloccate e il differenziale di prezzo tra i due principali hub di trading, il Comex di New York e il mercato spot di Londra, è schizzato oltre i 100 dollari l'oncia


Il caos è durato meno di ventiquattro ore, ma è bastato per scuotere i mercati dell'oro a livello globale. Una sentenza dell'agenzia doganale statunitense che imponeva dazi sui lingotti d'oro ha seminato il panico tra trader e investitori, costringendo la Casa Bianca a un rapido intervento per placare le acque agitate dei mercati dei metalli preziosi.

La vicenda ha avuto inizio quando l'US Customs and Border Protection ha pubblicato sul proprio sito web una sentenza che classificava i lingotti d'oro da un chilogrammo e da 100 once come soggetti ai cosiddetti dazi reciproci.

Commento: questo è sintomo di come possono alterare i mercati e ogni singolo valore, compreso quello dell'oro, per troppi ritenuto un bene rifugio... che non è!

09 agosto 2025

11 ago 2025

Dazi su oro? Il mercato impazzisce

di: Web Master

Dazi su oro? Il mercato impazzisce

Un'agenzia governativa statunitense aveva formalmente stabilito che i lingotti d'oro sarebbero stati soggetti a dazi, causando il caos nei mercati dei metalli preziosi. Le spedizioni si sono bloccate e il differenziale di prezzo tra i due principali hub di trading, il Comex di New York e il mercato spot di Londra, è schizzato oltre i 100 dollari l'oncia


Il caos è durato meno di ventiquattro ore, ma è bastato per scuotere i mercati dell'oro a livello globale. Una sentenza dell'agenzia doganale statunitense che imponeva dazi sui lingotti d'oro ha seminato il panico tra trader e investitori, costringendo la Casa Bianca a un rapido intervento per placare le acque agitate dei mercati dei metalli preziosi.

La vicenda ha avuto inizio quando l'US Customs and Border Protection ha pubblicato sul proprio sito web una sentenza che classificava i lingotti d'oro da un chilogrammo e da 100 once come soggetti ai cosiddetti dazi reciproci.

Commento: questo è sintomo di come possono alterare i mercati e ogni singolo valore, compreso quello dell'oro, per troppi ritenuto un bene rifugio... che non è!

09 agosto 2025

10 ago 2025

Trump: i fondi pensione possono comprare crypto

di: Web Master

Trump firma: i fondi pensione possono comprare crypto

L'ordine del presidente impone alla Securities and Exchange Commission (Sec) di rivedere l’attuale normativa per facilitare l’accesso ad asset alternativi per i piani pensionistici

Donald Trump si appresta a firmare un ordine esecutivo per consentire ai fondi pensione di accedere a criptovalute, private equity, immobili e altri asset digitali e alternativi. L’ordine, riferisce The Hill, impone alla Securities and Exchange Commission (Sec) di rivedere l’attuale normativa per facilitare l’accesso ad asset alternativi per i piani pensionistici. L’ordine del presidente, ha spiegato un funzionario della Casa Bianca, intende offrire ai lavoratori americani maggiori opzioni di investimento, aprendo ad asset alternativi.

Trump ha promesso durante la campagna elettorale di fare degli Stati Uniti la “capitale mondiale delle criptovalute”. Il mese scorso, la Casa Bianca ha presentato in un rapporto di 166 pagine raccomandazioni per legislatori e autorità di regolamentazione su tutto, dalla supervisione delle criptovalute alla tassazione, alle normative bancarie.

10/08/2025

15 lug 2025

Kalcker, diossido di cloro, 6 e 7 settembre

di: Web Master

Kalcker, diossido di cloro, 6 e 7 settembre

14 lug 2025

Agricoltura: UE lancia i Nature Credits

di: Web Master

Agricoltura: UE lancia i Nature Credits


Crediti natura, l'UE lancia il piano per incentivare gli investimenti a tutela dell'ambiente


La Commissione europea ha recentemente lanciato una Roadmap verso i Crediti natura, un'iniziativa pensata per promuovere e incentivare gli investimenti privati in interventi che tutelano e preservano l’ambiente.

Il piano ha lo scopo di supportare cittadini, imprese e organizzazioni nell’attuare azioni concrete a favore della natura, con l'obiettivo di premiare chi investe nella salvaguardia dell'ambiente.


Cosa sono e come funzionano i crediti natura

I crediti natura sono uno strumento innovativo per valorizzare le azioni positive a favore dell’ambiente. Rappresentano una sorta di “premio” che può essere assegnato a individui, imprese, enti pubblici o agricoltori che compiono interventi utili alla conservazione della natura, come:

  • piantare alberi in aree degradate o deforestate;
  • proteggere habitat per specie animali a rischio;
  • bonificare zone inquinate o rimuovere rifiuti;
  • creare zone umide o corridoi ecologici;
  • coltivare senza pesticidi inquinanti.

Una volta verificata e certificata da organismi indipendenti, ogni azione positiva genera crediti che possono essere venduti a soggetti (aziende, cittadini, amministrazioni) desiderosi di sostenere la natura, anche se non possono agire direttamente.

In sostanza, chi acquista un credito contribuisce alla salvaguardia ambientale, mentre chi lo genera riceve un compenso che può essere reinvestito in nuovi progetti ecologici.

Secondo la Commissione, se ben strutturati, i crediti natura possono diventare uno strumento di mercato efficiente e attrattivo per il settore privato, incoraggiando investimenti e innovazione nella transizione ecologica.

Mercati legati alla biodiversità in espansione

I mercati dei crediti legati alla biodiversità sono ancora in fase iniziale a livello globale, ma le stime sono promettenti: si prevede che la domanda possa raggiungere i 180 miliardi di dollari, a seconda dell’impegno politico e aziendale.

Per l’Europa, cogliere questa opportunità significherebbe contribuire concretamente a colmare il gap di 37 miliardi di euro all’anno necessari per proteggere efficacemente la biodiversità nel continente.

Controlli e impegno dell'UE per il futuro

Affinché il sistema sia affidabile, la Commissione europea prevede regole chiare, verifiche indipendenti e certificazioni trasparenti. L’obiettivo è evitare frodi e garantire che i crediti siano legati a risultati ambientali reali e misurabili.

Inoltre, si punta a rendere il sistema accessibile anche per piccoli proprietari terrieri, comunità locali e associazioni, attraverso la riduzione della burocrazia.

L’Unione Europea ha già annunciato l’intenzione di destinare almeno il 10% del suo bilancio alla biodiversità entro il 2026-2027 e raddoppiare gli investimenti esterni nel settore, fino a 7 miliardi di euro. Tuttavia, il coinvolgimento del settore privato è considerato cruciale per ottenere impatti su larga scala e accelerare la transizione verso un’economia realmente sostenibile.

Commento: questo è il prequel dei Crediti di Carbonio, ma per poterli introdurre hanno bisogno di vendere un'altra faccia alla gente comune, esattamente come fa l'Agenda 2030. Il mercato lo faranno creare a voi dandovi incentivi e poi se ne approprieranno facendolo pagare caro a tutti ...

07 lug 2025

Iran:no a richiesta Brics di dividersi in 2 Stati

di: Web Master

Iran: no a richiesta Brics di dividersi in 2 stati

Il recente vertice dei Brics ha affrontato temi di geopolitica globale, tra cui il conflitto israelo-palestinese. La dichiarazione finale ha incluso un richiamo a una soluzione a due Stati, ma la posizione iraniana si è contrapposta nettamente a questa proposta. Abbas Araghchi, ministro degli Esteri iraniano, ha esplicitato le riserve di Teheran e ha sottolineato alternative ritenute più giuste dal suo governo.

La posizione di iran sulla soluzione a due stati nella dichiarazione finale dei brics

Durante il vertice, la bozza della dichiarazione ha proposto di risolvere il conflitto israelo-palestinese attraverso la creazione di due Stati distinti, uno israeliano e uno palestinese. Abbas Araghchi è intervenuto per manifestare una forte opposizione a questa linea, definita inadeguata dalla Repubblica islamica. In un messaggio pubblicato sul suo canale Telegram, il ministro ha riferito che l’iran esprime riserve significative nei confronti della formulazione inserita nel documento finale, che rappresenta l’accordo dei leader dei Brics.

Documento ufficiale di disaccordo

Teheran ha annunciato che comunicherà ufficialmente il suo disaccordo tramite un documento indirizzato al presidente del gruppo. La critica iraniana si concentra sulla percezione che la soluzione a due Stati non affronti sufficientemente i diritti dei palestinesi. Inoltre, la Repubblica islamica insiste sul fatto che la questione palestinese richieda una gestione differente rispetto a quella proposta nella dichiarazione, sottolineando che il consenso incluso nel testo non sarebbe rappresentativo di tutti i soggetti coinvolti nel territorio.

Attacchi all’iran e critica al dialogo internazionale

Nel corso del dibattito, Araghchi ha voluto ribadire un punto sensibile per la politica estera iraniana. Ha denunciato come recenti attacchi perpetrati contro l’iran abbiano rappresentato, secondo Teheran, una violazione grave della diplomazia internazionale e uno sfregio ai trattati di non proliferazione nucleare. L’iran partecipa infatti all’accordo che limita l’uso della tecnologia nucleare esclusivamente a fini pacifici.

La denuncia di abbassare la fiducia tra stati

Il ministro degli Esteri ha sottolineato che questi attacchi ledono il principio di sicurezza nazionale e la fiducia tra Stati, minando ogni possibilità di dialogo e negoziazione. La denuncia iraniana è stata esplicitata in un contesto più ampio che mira a rivedere i rapporti di forza internazionali, con l’obiettivo di porre Teheran al centro di un confronto che prenda in considerazione la sua posizione politica e strategica.

Un referendum come alternativa proposta dall’iran per risolvere la questione palestinese

Araghchi ha poi sviluppato un’alternativa concreta alla soluzione a due Stati diffusa nel documento finale dei Brics. Ha affermato che l’iran propende per una soluzione che coinvolga un referendum con la partecipazione diretta di tutti gli abitanti originari dei territori contesi. Questo includerebbe non solo palestinesi e israeliani, ma anche ebrei, cristiani e musulmani residenti nella regione.

Principi di rappresentanza e giustizia

Secondo Teheran, questa strada si basa su principi di rappresentanza e giustizia, permettendo a ogni comunità di esprimere la propria volontà e partecipare alle decisioni sul futuro di quella terra. Araghchi ha definito questa proposta una risposta realistico-politica, non utopistica o impraticabile, e si è detto disposto a discuterne in sedi internazionali idonee.

Pressioni iraniane durante i negoziati sulla dichiarazione finale dei brics

Il processo di stesura della dichiarazione finale ha visto la delegazione iraniana premere affinché il testo contenesse una condanna più netta degli attacchi a Israele, attribuiti soprattutto agli Stati Uniti. Secondo fonti vicine al vertice, l’iran ha richiesto di esplicitare una critica severa ai bombardamenti subiti da Israele, sostenendo che questo punto fosse assente o troppo edulcorato nell’originale proposta.

Tensioni interne al gruppo brics

Questa posizione ha creato tensioni nei negoziati, dato che altri Paesi che partecipano ai Brics hanno privilegiato un approccio più equilibrato, evitando di schierarsi apertamente sull’aspetto militare del conflitto. L’atteggiamento iraniano ha mostrato come il gruppo Brics non sia monolitico, ma soggetto a forti differenze interne soprattutto su questioni così delicate come il Medio Oriente.

Il vertice di aprile 2025 segna quindi un momento di confronto non solo tra Paesi emergenti e potenze mondiali, ma anche tra interpretazioni molto diverse delle crisi internazionali, con l’iran che mantiene una linea rigida e alternativa rispetto alle posizioni prevalenti della comunità internazionale.


07 lug 2025

Brics senza Cina e proni all'Occidente

di: Web Master

Vertice BRICS senza Cina e proni all'occidente

Vertice Brics senza Cina (né coraggio). Condannati attacchi a Gaza e Iran, ma i Paesi emergenti girano le spalle a Kiev


Brics

Non passerà alla storia come una svolta nell’ordine mondiale il vertice dei capi di Stato e di governo dei Brics in Brasile. La Dichiarazione di Rio de Janeiro, sottoscritta al termine dei lavori dai rappresentanti degli undici Paesi che oggi compongono il blocco delle economie emergenti, si è distinta per toni cauti, formule generiche e un chiaro intento di evitare frizioni con gli Stati Uniti su tutti i dossier affrontati.

Nel complesso, si è registrata una difesa del multilateralismo dai toni accomodanti. Le critiche alla guerra dei dazi lanciata da Donald Trump sono risultate attenuate, forse su impulso cinese. In questo senso, si è fatta sentire l’assenza del presidente cinese Xi Jinping che, probabilmente per non compromettere il dialogo in corso con Washington, ha preferito non associare il proprio nome a un testo che, seppur con prudenza, contiene critiche alle politiche statunitensi. La dichiarazione, in ogni caso, si è limitata a esprimere “serie preoccupazioni per l’aumento di misure tariffarie e non tariffarie unilaterali che distorcono il commercio e sono incompatibili con le regole dell’Organizzazione mondiale del Commercio”.

La cautela ha prevalso anche sulla questione iraniana. Alla fine, i Brics hanno “condannato gli attacchi militari contro la Repubblica Islamica dell’Iran dal 13 giugno 2025” ed espresso “profonda preoccupazione per l’escalation successiva della situazione di sicurezza in Medio Oriente”, senza però citare esplicitamente né gli Stati UnitiIsraele. Sul fronte europeo, la dichiarazione ha certificato invece la decisione dei Brics di voltare le spalle all’Ucraina, condannando “nei termini più forti” soltanto gli attacchi contro ponti e infrastrutture ferroviarie nelle regioni russe di Bryansk, Kursk e Voronezh “che hanno deliberatamente preso di mira civili, causando numerose vittime tra cui bambini”, senza menzionare l’invasione russa.

L’unico passaggio più deciso ha riguardato Gaza, dove i Brics, ribadendo “profonda preoccupazione per la situazione nel Territorio palestinese occupato, di fronte alla ripresa di attacchi continui di Israele contro Gaza e all’ostruzione dell’ingresso di aiuti umanitari nel territorio”, hanno fatto appello al rispetto del diritto internazionale, “condannando tutte le violazioni del diritto internazionale umanitario, incluso l’uso della fame come metodo di guerra” e “i tentativi di politicizzare o militarizzare l’assistenza umanitaria”. È stato poi riaffermato con forza il sostegno alla soluzione a due Stati nel rispetto dei confini del 1967, considerata “l’unico mezzo” per garantire pace e stabilità.

Riconoscendo la leadership delle superpotenze del gruppo, Brasilia e Nuova Delhi hanno rilanciato il proprio protagonismo nella riforma dell’Onu con il malcelato obiettivo di ottenere un seggio permanente nel Consiglio di Sicurezza. “Sottolineiamo la registrazione del sostegno di Cina e Russia” per un maggiore protagonismo di Brasile e India in questo organo dell’Onu, andando incontro alle “legittime aspirazioni dei paesi emergenti e in via di sviluppo dell’Africa, Asia e America Latina, inclusi i paesi del Brics”.

In ambito economico, la dichiarazione ha richiamato la necessità di una riforma delle istituzioni di Bretton Woods (Fondo monetario internazionale e Banca mondiale), chiedendo “un aumento delle quote dei paesi emergenti e in via di sviluppo”. Come contrappeso, i Brics hanno rilanciato la loro Nuova Banca di Sviluppo (Ndb) evidenziando il suo “ruolo crescente di agente robusto e strategico di sviluppo e modernizzazione nel Sud del mondo”, grazie alla capacità di “mobilitare risorse”, “espandere il finanziamento in valuta locale” e sostenere progetti che “riducano le disuguaglianze”.


Le pressioni statunitensi, accompagnate da pesanti minacce di ritorsioni da parte di Donald Trump, hanno frenato ogni slancio sul progetto di una valuta alternativa al dollaro per gli scambi intra-Brics. Il blocco non ha comunque abbandonato l’iniziativa, spinta soprattutto dal presidente brasiliano Luiz Inácio Lula da Silva, che tuttavia ha dovuto accontentarsi di una dichiarazione d’intenti sul “rilancio dell’Iniziativa di Pagamenti Transfrontalieri del Brics” e “l’impegno nella ricerca di meccanismi di finanziamento in valute locali accettabili”.

Sul fronte ambientale, i Brics hanno riaffermato l’impegno a “combattere il cambiamento climatico e promuovere uno sviluppo sostenibile giusto e inclusivo”, confermando il pieno sostegno all’Accordo di Parigi, alla Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui Cambiamenti climatici (Unfccc) e alla presidenza brasiliana della Cop30 a Belém. Alla dichiarazione principale si sono affiancati, per la prima volta, tre documenti aggiuntivi: la Dichiarazione-quadro sul Finanziamento climatico, quella sulla Governance globale dell’Intelligenza Artificiale e la Partnership per l’eliminazione delle malattie determinate socialmente. Un successo marginale della diplomazia brasiliana, che però non è riuscito a risollevare il bilancio modesto del summit carioca.


05 lug 2025

Approvato in senato vac neonati e donne incinta

di: Web Master

Approvato vac virus sinciziale bambini, donne incinta

Virus sinciziale. Ministero Salute: “Dal 2025/2026 monoclonali nel calendario vaccinale e vaccino per donne in gravidanza”


Il Ministro Schillaci ha annunciato in Aula alla Camera nuove misure per contrastare il virus respiratorio sinciziale (RSV), con particolare attenzione a neonati, donne in gravidanza e anziani. Tra le iniziative, l'introduzione di anticorpi monoclonali nel calendario vaccinale e la previsione di un vaccino per le donne in gravidanza nella stagione 2025-2026. Stanziati 50 milioni di euro per garantire l'accesso universale all'immunizzazione dei neonati.

02 LUG -

Il Ministro della Salute Orazio Schillaci ha risposto oggi pomeriggio in Aula alla Camera al question time ad un'interrogazione presentata da Simona Loizzo (Lega) riguardo le iniziative per promuovere la vaccinazione contro il virus respiratorio sinciziale (RSV). Schillaci ha sottolineato l'importanza di proteggere le fasce più vulnerabili della popolazione, tra cui anziani, donne in gravidanza e neonati, evidenziando i dati preoccupanti relativi all'incidenza dell'RSV:
- 290.000 casi annui negli over 60, con 26.000 ricoveri e 1.800 decessi;
- 25.000 ricoveri annui nei bambini sotto i 5 anni, rappresentando quasi la metà delle ospedalizzazioni respiratorie in quella fascia di età.

Il Ministro ha illustrato le misure già adottate, tra cui l'intesa sul Piano nazionale di prevenzione vaccinale 2023-2025, che prevede l'inserimento degli anticorpi monoclonali per la profilassi. Con la circolare n. 9486 del 27 marzo 2024, le regioni sono state informate sulle strategie di prevenzione dell'RSV. Attualmente, in Italia sono autorizzati due anticorpi monoclonali per nati prematuri e neonati, e tre vaccini per adulti e donne in gravidanza; un ulteriore vaccino sarà disponibile dal 2025.


Il 18 luglio 2024, il NITAG ha dato parere positivo all'introduzione dei monoclonali per neonati nel calendario nazionale, con offerta attiva a tutti i nuovi nati. Il 17 ottobre 2024 è stata sottoscritta l'intesa per l'accesso universale dei neonati all'immunizzazione contro l'RSV, con uno stanziamento di 50 milioni di euro a valere sul Fondo sanitario nazionale.

I primi dati, provenienti dal Veneto, indicano una riduzione del 74% dei ricoveri correlati all'RSV e una diminuzione dei trasferimenti in terapia intensiva dal 16% al 10%.

Per la stagione 2025-2026, è prevista l'introduzione del vaccino per le donne in gravidanza, offrendo una doppia protezione per madre e bambino. Il Dipartimento della prevenzione ha avviato le azioni necessarie per l'aggiornamento del calendario nazionale di immunizzazione per l'RSV, con l'obiettivo di garantire un accesso tempestivo e capillare alla vaccinazione per neonati, donne in gravidanza e adulti. Le regioni Sicilia e Molise hanno già iniziato, di propria iniziativa, la somministrazione del vaccino materno, dimostrando la collaborazione tra centro e periferia.

Schillaci ha concluso affermando: “Proteggere i più fragili non è solo un dovere istituzionale, è un imperativo morale. Il virus respiratorio sinciziale ha fatto danni per troppo tempo; ora abbiamo gli strumenti per fermarlo e li useremo tutti”.

Di seguito la risposta integrale del ministro Schillaci.

"Ringrazio l'onorevole Loizzo e gli altri deputati firmatari per aver sollevato una questione che tocca direttamente le fasce più vulnerabili della nostra popolazione. Parliamo di anziani, donne in gravidanza, neonati, persone che meritano la massima protezione dal nostro sistema sanitario. Il virus respiratorio sinciziale non è un nemico da sottovalutare. I numeri che avete citato nell'interrogazione sono eloquenti: 290.000 casi l'anno negli over 60, 26.000 ricoveri, 1.800 decessi. E poi ci sono i bambini: 25.000 ricoveri annui sotto i 5 anni, quasi la metà di tutte le ospedalizzazioni respiratorie in quella fascia di età.

Ma arriviamo al punto centrale della vostra domanda. Stiamo già agendo. Il 2 agosto 2023, in sede di Conferenza Stato-regioni, abbiamo sancito l'intesa sul Piano nazionale di prevenzione vaccinale 2023- 2025 sul calendario nazionale vaccinale: non è solo un documento burocratico, è la nostra strategia per proteggere gli italiani, con la possibilità di inserire anche gli anticorpi monoclonali per la profilassi. Con la circolare n. 9486 del 27 marzo 2024 abbiamo informato le regioni sulle strategie di prevenzione del virus respiratorio sinciziale. Oggi in Italia sono autorizzati 2 anticorpi monoclonali per nati prematuri e neonati e 3 vaccini per adulti e donne in gravidanza; dal 2025 ce ne è uno ulteriore.

Il 18 luglio 2024 il NITAG ha dato parere positivo, con l'introduzione dei monoclonali per neonati nel calendario nazionale, con offerta attiva a tutti i nuovi nati. Il 17 ottobre 2024 abbiamo sottoscritto l'intesa per l'accesso universale dei neonati all'immunizzazione contro l'RSV, con uno stanziamento di 50 milioni di euro a valere sul Fondo sanitario nazionale. Non sono solo cifre, sono vite che proteggiamo.

I primi dati ci dicono che stiamo andando nella direzione giusta. Dal Veneto arrivano numeri incoraggianti, con una riduzione del 74 per cento dei ricoveri correlati all'RSV; e non solo ci sono meno ricoveri, ma ci sono anche meno casi gravi. I trasferimenti in terapia intensiva sono scesi dal 16 al 10 per cento.

La vera novità è per la stagione 2025-2026. Accanto all'anticorpo monoclonale per i neonati avremo anche il vaccino per le donne in gravidanza: una doppia protezione, madre e bambino.

Il nostro Dipartimento della prevenzione ha avviato le azioni necessarie per l'aggiornamento del calendario nazionale di immunizzazione per l'RSV, come previsto dal Piano nazionale di prevenzione. L'iter richiede i tempi tecnici necessari per una corretta attuazione. Non improvvisiamo quando si tratta di salute pubblica, ma non stiamo fermi ad aspettare. Sono in corso valutazioni puntuali per definire una strategia vaccinale che garantisca, già per la campagna 2025-2026, un accesso tempestivo e capillare a neonati, donne in gravidanza ed adulti. Due regioni, Sicilia e Molise, hanno già iniziato di propria iniziativa con il vaccino materno; è la dimostrazione che il sistema funziona e che c'è collaborazione tra centro e periferia.

Onorevoli, la risposta alla vostra domanda è: sì, stiamo adottando tutte le iniziative necessarie, con i fondi, con le intese e con l'aggiornamento del calendario vaccinale, perché proteggere i più fragili non è solo un dovere istituzionale, è un imperativo morale. Il virus respiratorio sinciziale ha fatto danni per troppo tempo; ora abbiamo gli strumenti per fermarlo e li useremo tutti".

La replica di Loizzo. Grazie, Presidente. Volevo ringraziare, a nome del gruppo Lega, il Ministro Schillaci, non soltanto per la qualità della risposta e, quindi, per l'assoluta concretezza della programmazione della campagna vaccinale 2025-2026 per il virus respiratorio sinciziale, ma per tutte le attività che sta facendo e, soprattutto, per l'attenzione che ha il Ministro Schillaci a raccogliere le esigenze che vengono da tutti i territori, anche le regioni che sono più disagiate o che hanno sistemi sanitari regionali più forti. È questa l'opera che noi ci aspettavamo dal Ministro Schillaci ed è questa l'opera che il Ministro Schillaci sta portando avanti, garantendo l'omogeneità di servizi sanitari regionali su tutto il Paese


17 apr 2025

Ddl sicurezza.I servizi segreti contro il popolo

di: Web Master

 Ddl sicurezza. I servizi segreti contro il popolo

Le commissioni Affari costituzionali e Giustizia del Senato hanno approvato l’articolo 31 del “ddl Sicurezza”, un disegno di legge promosso dal governo di Giorgia Meloni che vorrebbe intervenire sul contrasto al terrorismo e alla criminalità organizzata, e sui controlli di polizia. L’articolo 31 è stato molto contestato dalle opposizioni, ma non solo, perché aumenta i poteri dei servizi segreti senza prevedere su di essi alcun maggiore controllo. Prima che diventi legge servirà in ogni caso il voto favorevole di Camera e Senato, ma l’approvazione in commissione mostra già le intenzioni della maggioranza che sostiene il governo.

L’articolo 31, intitolato “Disposizioni per il potenziamento dell’attività di informazione per la sicurezza”, modifica la legge del 2007 che aveva riformato, in Italia, il sistema dei servizi segreti civili e militari. In sintesi, la nuova norma darebbe maggiore potere alle agenzie dei servizi segreti italiani (l’AISE e l’AISI, che si occupano rispettivamente di sicurezza esterna e interna), tra le altre cose per ottenere dalle pubbliche amministrazioni e dalle società pubbliche informazioni riservate. Chi la contesta sostiene che sia scritta in modo troppo generico, e che in questo modo i servizi segreti potranno disporre di molte informazioni delicate e dati personali gestiti dalle pubbliche amministrazioni, senza limiti adeguati e senza garanzie per la tutela della privacy.

L’articolo in questione tra le altre cose dice che «le pubbliche amministrazioni, le società a partecipazione pubblica o a controllo pubblico e i soggetti che erogano, in regime di autorizzazione, concessione o convenzione, servizi di pubblica utilità sono tenuti a prestare al DIS (il Dipartimento delle informazioni per la sicurezza, ndr) all’AISE e all’AISI la collaborazione e l’assistenza richieste, anche di tipo tecnico e logistico, necessarie per la tutela della sicurezza nazionale».

Poi aggiunge che «il DIS, l’AISE e l’AISI possono stipulare convenzioni con i predetti soggetti, nonché con le università e con gli enti di ricerca, per la definizione delle modalità della collaborazione e dell’assistenza suddette. Le convenzioni possono prevedere la comunicazione di informazioni ai predetti organismi anche in deroga alle normative di settore in materia di riservatezza».

Attualmente i servizi segreti possono chiedere una collaborazione alle pubbliche amministrazioni, che a loro volta però possono rifiutarsi opponendo limiti di legge, come quello della tutela della privacy. La norma in esame rende invece obbligatoria la collaborazione e anche l’assistenza, in deroga ai vincoli di riservatezza previsti dalla normativa di settore, e amplia i soggetti tenuti a prestare collaborazione e assistenza, estendendo l’obbligo alle società a partecipazione pubblica o a controll

Se il disegno di legge venisse definitivamente approvato con l’articolo 31 nella sua attuale formulazione, le pubbliche amministrazioni saranno obbligate a fornire ai servizi segreti tutti i dati che chiedono, in nome di una generica «tutela della sicurezza nazionale» e anche in violazione della normativa sulla privacy.

Un esempio degli aspetti critici dell’articolo 31 è che per come è scritto obbligherebbe anche le università e gli ospedali a dare informazioni private e coperte da riservatezza su studenti e pazienti. E che sempre a causa di questa eccessiva vaghezza i servizi segreti avrebbero il potere di ottenere informazioni riservate anche dalle procure. In assenza di maggiori precisazioni, al momento è difficile capire se verranno introdotte ulteriori norme per limitare in qualche modo l’accesso dei servizi segreti alle informazioni gestite da questi uffici.

Roberto Scarpinato, ex magistrato antimafia e senatore per il Movimento 5 Stelle, ha fatto degli esempi concreti: «Grazie all’indeterminatezza della norma gli agenti potranno pretendere di avere accesso alle banche dati dei dipendenti, chiedere alle università le attività e gli orientamenti culturali di docenti o studenti, così come i medici ospedalieri dovranno fornire le cartelle cliniche dei pazienti».

Un’altra parte dell’articolo mette a regime alcune disposizioni introdotte dal 2015 in via transitoria e poi via via prorogate. Come spiega un dossier del Senato, una delle disposizioni che si vogliono rendere permanenti è quella che estende a una serie di reati con finalità di terrorismo «le condotte scriminabili, previste dalla legge come reato, che tuttavia il personale dei servizi di informazione per la sicurezza può essere autorizzato a porre in essere». Le condotte “scriminabili” sono quelle che si possono rendere non perseguibili penalmente in presenza di una valida giustificazione: significa quindi che i membri dei servizi segreti possono essere autorizzati a compiere determinate azioni che normalmente costituirebbero un reato, senza essere perseguiti penalmente.

Queste condotte scriminabili che diventerebbero permanenti sono per esempio la partecipazione ad associazioni sovversive, l’arruolamento con finalità di terrorismo anche internazionale e la banda armata. A queste l’articolo 31 del ddl sicurezza ne aggiunge di nuove: direzione e organizzazione di associazioni con finalità di terrorismo anche internazionale o di eversione dell’ordine democratico, detenzione di materiale con finalità di terrorismo, fabbricazione o detenzione di materie esplodenti, istigazione a commettere delitti di terrorismo o crimini contro l’umanità.

Nell’interpretazione di Scarpinato l’articolo 31 dà la possibilità agli agenti dei servizi segreti «non solo di infiltrare, ma addirittura di dirigere delle associazioni terroristiche». Una preoccupazione simile era già stata espressa dai familiari delle vittime delle stragi di mafia e di terrorismo, che hanno parlato di una «licenza criminale» attribuita ai servizi, i cui membri in passato sono stati condannati in vicende giudiziarie che hanno riguardato attentati, stragi, progetti eversivi.

Alcuni deputati e senatori hanno detto che l’articolo 31 eliminerebbe il segreto istruttorio, quello che tutela le indagini della magistratura; altri hanno parlato del rischio che si arrivi a una schedatura di massa dei cittadini. Le opposizioni hanno infine criticato il fatto che l’ampliamento dei poteri dei servizi segreti non sia accompagnato da un rafforzamento dei poteri del COPASIR, organismo parlamentare che si occupa di controllarne le attività e di verificare che siano svolte nel rispetto delle leggi e nell’interesse della nazione.

Governo e maggioranza hanno invece respinto ogni accusa. Maurizio Gasparri, senatore di Forza Italia, ha detto di non ravvisare nessuno dei rischi nominati dalle opposizioni: «Noi andiamo avanti sia con il provvedimento, sia con l’articolo 31. Se ne facciano una ragione».

04 apr 2025

I dazi di Trump. L'elenco e commenti

di: Web Master

I dazi di Trump. L'elenco e commenti.

Le voci della tabella presentata da Trump: la lista completa dei Paesi, con tutte le percentuali. L’esempio dell’Iva, considerata un dazio

Trump, i nuovi dazi Usa: la tabella paese per paese
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Il presidente Donald Trump alle 22 (ora italiana) del 2 aprile, dal Giardino delle Rose della Casa Bianca, ha sferrato il suo attacco al mondo, annunciando i «dazi reciproci» che gli Stati Uniti introdurranno nei confronti di tutti i Paesi del globo terracqueo. Lo ha fatto con i suoi consueti toni e davanti alla stampa riunita, illustrando le cifre abbinate a ogni singolo Paese attraverso una tabella con l’elenco delle nazioni «colpite» dai provvedimenti e relative tariffe che, in realtà, non saranno completamente reciproche.

Nel corso del suo speech, Trump ha detto anche che i dazi sarebbero stati in vigore a partire dalla mezzanotte, ma, subito dopo, la Casa Bianca ha precisato che le tariffe saranno effettive tra il 5 e il 9 aprile, in una sorta di calendario scaglionato. Sabato 5 aprile, alle 6, ora italiana, entreranno in vigore i dazi del 10%; mentre mercoledì 9 aprile, alla stessa ora, quelli di oltre il 10% imposti sui beni importati negli Stati Uniti da Paesi come Cina e Unione Europea.

Innanzitutto, proviamo a capire qual è il criterio adottato dall'amministrazione Trump e che ha portato a questo elenco. La Casa Bianca ha applicato un calcolo molto semplice: dazio pari alla metà di quello subito dagli States da parte dei vari Paesi. Secondo questo criterio, in cima alla lista delle imposizioni doganali è finita la Cina, che impone dazi del 67% e verrà dunque colpita da tariffe del 34%. Contro l'Unione europea, che protegge secondo Trump la sua produzione, compresa quella italiana, con gabelle del 39%, e che per il presidente ha «derubato» l’America, gli Usa reagiscono ora con tariffe del 20%

Poi, ci sono Taiwan (32%), Giappone (24%), India (26%), Corea del Sud (25%), Svizzera (31%), fino al Regno Unito. Londra è destinataria di un aumento dei dazi pari solo al 10%, in linea con quelli adottati nei confronti degli Stati Uniti. Alcuni Paesi, invece, sono colpiti in maniera davvero eccezionale. Quello più «tartassato», con il 46%, è il Vietnam, che ha un surplus commerciale di 123,5 miliardi di dollari con gli Stati Uniti. Il Vietnam, però, è diventato negli anni un centro di produzione di scarpe da corsa, abbigliamento sportivo e outdoor ad alta tecnologia: nel Paese asiatico i marchi hanno cercato di ridurre l'esposizione alla Cina.

A partire da Nike. Il celebre marchio di abbigliamento sportivo dipende, infatti, fortemente dal Vietnam. Secondo il suo rapporto annuale, Nike ha prodotto nel Paese asiatico il 50% delle sue calzature e il 28% dei suoi capi di abbigliamento nell'anno finanziario 2024. La rivale Adidas, invece, è un po' meno esposta e conta sul Paese asaitico per il 39% delle sue calzature e il 18% dei suoi capi di abbigliamento. L’attacco commerciale al Vietnam è, per noi, un ottimo esempio per raccontare l’altra faccia della medaglia delle scelte di Trump. Spostare la produzione dal Vietnam non è una questione semplice per i brand sportivi. Anche altri Paesi del Sud-Est asiatico, come la Cambogia e l'Indonesia, hanno infatti subito dazi (rispettivamente del 49% e del 32%). L'aumento delle tariffe verso i prodotti importati dal Vietnam, dunque, costringerà nell’immediato i marchi ad assorbire costi maggiori e, probabilmente, ad aumentare i prezzi. Prezzi che pagheranno, alla fine, i cittadini americani. E questo non avverrà, ovviamente, solo per le sneakers (leggi qui un altro esempio: il caso delle lavatrici).

I conti «sbagliati» di Trump

Le argomentazioni di Trump sono indubbiamente accattivanti per il suo elettorato, ma le accuse che muove non partono da dati sempre reali. Ad esempio, quando dice che l’Unione Europea impone dazi sulle merci degli Stati Uniti del 39% sbaglia. Non esiste un dato unico e assoluto sui dazi medi tra Ue e Stati Uniti, perché il calcolo varia a seconda dei criteri usati. Tuttavia, spiega la Commissione Ue, se si considera l'effettivo scambio di merci tra Ue e Usa, in pratica l'aliquota tariffaria media su entrambe le parti è di circa l'1%. Nel 2023, gli Stati Uniti hanno riscosso circa 7 miliardi di euro di tariffe sulle esportazioni dell'Ue e l'Ue ha riscosso circa 3 miliardi di euro sulle esportazioni statunitensi.
La Casa Bianca per arrivare alle percentuali annunciate nel Giardino delle Rose, ha preso il valore del disavanzo commerciale tra gli Stati Uniti e quello ad esempio della Ue, lo ha reso con una percentuale rispetto al totale delle importazioni dalla Ue, e poi ha diviso per due. Quindi, se nel 2024 gli Stati Uniti hanno esportato merci verso l’Ue per oltre 370 miliardi di dollari e ne hanno importate per quasi 606 miliardi, il disavanzo commerciale è di circa 236 miliardi, ovvero il 39% delle importazioni, che diviso per due fa circa quel 20% di dazio che troviamo nella tabella di Trump.
Ma i conti di Trump hanno una grossa pecca: non considerano i servizi, cosa che riduce molto il disavanzo.

E poi c’è il discorso Iva. Su quelle merci, infatti, noi paghiamo l’Imposta sul valore aggiunto, che, come la sales tax Usa, non fa distinzioni sulla provenienza delle merci. Nei giorni che hanno preceduto il roboante annuncio nel Giardino delle Rose, Trump ha usato l’Iva come uno degli argomenti per spiegare la sua «guerra commerciale». Secondo la sua idea, «l’Iva è un dazio» e come tale è un’imposta che contribuisce a spiegare il disavanzo commerciale degli Stati Uniti con l’Unione europea (236 miliardi di dollari nel 2024). In sostanza, la sua idea (ma non solo sua, va detto), è che un sistema di imposta sul valore aggiunto fornisca sussidi alle esportazioni e agisca come una tassa sulle importazioni. Questo, semplicemente, non è vero.

Per capire bene dove sta l’«inciampo» di Trump bisogna tenere presente che un dazio è un’imposta diretta a colpire solo i beni importati in un Paese col fine di scoraggiarne il consumo e renderli dunque più costosi dei beni prodotti internamente al Paese stesso. I dazi sono, dunque, uno strumento di politica protezionista. L’Iva, invece, è un’imposta che tassa nello stesso modo tutti i beni consumati all’interno di un Paese. Insomma, non fa distinzione sulla provenienza del bene (per intenderci, un elettrodomestico importato dagli Stati Uniti è appesantito dalla stessa Iva che grava su un elettrodomestico prodotto in Italia). Dunque, non vi è nella sua applicazione nessun intento di limitare le importazioni. E’ però importante sottolineare che se noi, come vorrebbe Trump, non imponessimo l’Iva ai prodotti made in Usa come la imponiamo ai beni prodotti in Italia, saremmo nella paradossale situazione di privilegiare le merci importate. Queste, infatti, sarebbero meno costose di quelle prodotte in Italia e, di fatto, godrebbero addirittura di una sorta di sussidio di Stato.

L’elenco di tutti i Paesi colpiti dai dazi

Ecco l’elenco completo dei Paesi colpiti dai dazi americani, rigorosamente in ordine alfabetico:
Algeria 30%
Angola 32%
Bangladesh 37%
Bosnia Erzegovina 36%
Botswana 38%
Brunei 24%
Cambogia 49%
Camerun 12%
Ciad 13%
Cina 34%
Corea del Sud 26%
Costa d’Avorio 21%
Filippine 18%
Fiji 32%
Giappone 24%
Giordania 20%
Guinea Equatoriale 13%
Guyana 38%
India 27%
Indonesia 32%
Iraq 39%
Isole Falkland 42%
Israele 17%
Kazakistan 27%
Laos 48%
Lesotho 50%
Libia 31%
Liechtenstein 37%
Macedonia del Nord 33%
Madagascar 47%
Malawi 18%
Malesia 24%
Mauritius 40%
Moldova 31%
Mozambico 16%
Myanmar 45%
Namibia 21%
Nauru 30%
Nicaragua 19%
Nigeria 14%
Norvegia 16%
Pakistan 30%
Repubblica Democratica del Congo 11%
Serbia 38%
Sudafrica 31%
Sri Lanka 44%
Svizzera 32%
Siria 41%
Taiwan 32%
Thailandia 37%
Tunisia 28%
Unione Europea 20%
Vanuatu 23%
Venezuela 15%
Vietnam 46%
Zambia 17%
Zimbabwe 18%


04 apr 2025

Spagna. 3000 euro di multa su uova per autoconsumo

di: Web Master

Spagna. 3000 euro di multa su uova per autoconsumo


Nelle zone rurali della Spagna, molte persone scelgono di avere un piccolo numero di galline e altri volatili in casa, una pratica molto comune per ottenere uova per autoconsumo. A seconda dell'utilizzo di questo alimento di origine animale, si dovranno seguire diverse procedure, secondo la legge.

Dopo la pubblicazione del Real Decreto 637/2021, del 27 luglio, che stabilisce le norme fondamentali per la gestione degli allevamenti avicoli, chiunque possieda galline è obbligato a registrarle, anche se sono solo per autoconsumo.

Nel caso in cui si ometta la registrazione di volatili come le galline per autoconsumo, si commette una infrazione lieve, per cui la multa o sanzione potrebbe andare da 600 a 3.000 euro.

https://www.eleconomista.es/actualidad/noticias/13272849/03/25/la-ley-recoge-obligaciones-para-los-huevos-de-autoconsumo-multas-de-hasta-3000-euros-para-quienes-tengan-gallinas-sin-registrar.html


Commento. Anche in Spagna, così come in America iniziano ad esserci problemi importanti su alimenti molto usati come le uova. Ovviamente il problema è per coloro che non registrano le galline. Ma avete provato cosa significa registrare le galline? Anche in Italia esiste una legge simile, solo che per ora non viene applicata, ma se un domani dovessero decider?

Bisogna avvisare l'asl, comunicare il tipo di gallina e se le uova sono per proprio consumo o se si danno ad altri. Ci sono tutta una serie di regole per come deve essere costruito e gestito il pollaio. In più si viene considerati "azienda" dal momento in cui si registra anche una sola gallina e, di conseguenza, possono esserci ispezioni di vario tipo...

La deriva sul cibo è dietro la porta...

26 mar 2025

Eolico dalla Puglia alla Romagna

di: Web Master

Eolico off shore: impianti per 2,4 GW dalla Puglia alla Romagna

Primi via libera per la creazione di un hub del Mediterraneo. Sono saliti a quattro gli impianti, per un totale di 2,4 gigawatt, hanno superato l’esame della Valutazione di impatto ambientale. Altri 20 gigawatt sono in lista d’attesa. Complessivamente l’eolico off shore potrebbe soddisfare quasi il 20% della domanda di elettricità in Italia

Dopo almeno cinque anni di attesa, l’Associazione delle Energie Rinnovabili Offshore (Aero) ha annunciato che sono arrivati a quattro i primi impianti che possono proseguire nell’iter autorizzativo che li porterà a produrre energia dal vento catturato in mezzo al mare“. I quattro impianti sfruttano la tecnologia dell’eolico “floating“. In pratica, la basi su sui poggiano i piloni con le pale eoliche non vengono fissati ma “ancorati” al fondo marino

E’ l’eolico off shore “galleggiante“, pensato per gli impianti che vanno a sfruttare la forza del vento dove il mare è più profondo. Proprio come nel Mediterraneo. E per la sua posizione, l’Italia può diventare il punto di riferimento per questa tecnologia. Perché dispone di porti che possono essere attrezzati per ospitare sia navi e personale destinati alla manutenzione, sia i cantieri che portano le attrezzature al largo.

L’Italia è il terzo mercato a livello mondiale per potenziale nell’eolico off shore galleggiante

E’ un altro passo avanti. Il Decreto Porti – in dirittura d’arrivo individua Augusta, come hub prioritario per il nostro Paese. A dimostrazione che dopo aver atteso a lungo, con un solo impianto off shore in attività nel porto di Taranto, ora anche l’Italia potrà dire la sua. E diventare il punto di riferimento nel Mediterraneo per le energie rinnovabili offshore. Secondo il Global Wind Energy Council, l’Italia è il terzo mercato a livello mondiale per potenziale di sviluppo dell’eolico galleggiante

I quattro impianti che hanno superato la Valutazione di impatto ambientale son dislocati tra Sicilia, Puglia e Romagna. Al largo di Barletta, c’è il progetto Barium Bay, con una potenza installata di 1,1 gigawatt. Nasce da una joint venture tra Galileo, piattaforma paneuropea per le rinnovabili, e Hope, azienda di Bari. Sorgerà a 40 km dalla costa, con 74 pale “floating”.

Al largo di Ravenna c’è il progetto Agnes, 600 mw di eolico e 100mw di fotovoltaico galleggiante. Due miliardi di investimento per un impianto che potrà portare elettricità a mezzo milione di famiglie. Poco distante, a Rimini, altri 330 mw con il progetto Energia2020. Il quarto impianto che ha passato la Via si trova al largo della Egadi, in provincia di Trapani: sono i primi 250 mw di un progetto ben più ampio a cura di Seas Med

Di Augusta si è detto. Altri porti strategici per la filiera dell’eolico galleggiante sono stati individuati in Taranto, Brindisi, Civitavecchia, che “garantiranno l’assemblaggio e la logistica degli aerogeneratori eolici, contribuendo allo sviluppo di una filiera industriale italiana”, come si legge in una nota a cura di Aero.

L’impianto eolico off shore a Taranto

Al 2050 potrebbero essere installati al largo delle coste italiane impianti fino a 20 gigawatt di potenza installata

La crescita dell’eolico offshore galleggiante è un’occasione storica per l’Italia. Oggi abbiamo gli strumenti per rendere il nostro Paese leader nella transizione energetica, creando un’industria nazionale che generi occupazione, innovazione e valore. Il successo di questa trasformazione dipenderà dalla capacità di istituzioni e imprese di lavorare insieme per costruire un futuro sostenibile” ha dichiarato Fulvio Mamone Capria, presidente di Aero.

L’associazione ha anche raccolto i dati di tutti i progetti sull’eolico galleggiante. In Italia ci sono 130 progetti, per un totale di 86 GW, in base alle richieste di connessione alla rete di Terna. “Di questi 130, solo 75 progetti (49 GW) hanno accettato i preventivi di connessione di Terna” spiega l’associazione. Di questi 75, solo 23 progetti, per circa 16,5 GW, hanno avviato l’iter di Valutazione di Impatto Ambientale presso il Ministero.

Dunque, solo una minima percentuale dei progetti che hanno fatto richiesta di connessione, rappresenta l’obiettivo al 2030 e anche gli scenari più ambiziosi difficilmente prevedono una potenza installata superiore ai 20 GW al 2050“. Ma sarebbe un passo avanti significativo verso gli obiettivi di decarbonizzazione.

Commento. Scusate, mi sono perso qualcosa oppure lo sfruttamento di terra e mare per l'energia prosegue??

26 03 25

26 mar 2025

Gli Stati Uniti sono rimasti senza uova

di: Web Master


Gli Stati Uniti sono rimasti senza uova, Trump chiede aiuto all'Italia (che dice no)

L'ambasciata di Washington a Roma si è rivolta a Unaitalia, per una fornitura che coprisse i prossimi sei mesi

Foto di repertorio Pixabay

"Vendeteci le uova". La richiesta arriva in Italia e in altri paesi europei direttamente dagli Stati Uniti, che da mesi affronta una carenza del prodotto per via dell'influenza aviaria che ha colpito le galline degli allevamenti statunitensi, facendo schizzare alle stelle il prezzo di un bene che è fondamentale per la cucina e la dieta nazionale.

L'Italia dice 'no' alla richiesta degli Usa: "Copriamo a sufficienza il nostro fabbisogno"

Dopo la Danimarca, l'amministrazione Trump si è rivolta all'Italia, che però ha dato parere negativo. Una settimana fa, infatti, l'ambasciata di Washington a Roma si è rivolta a Unaitalia, l'Unione nazionale filiere agroalimentari carni e uova, per una fornitura che coprisse i prossimi sei mesi. L'associazione, però, ha respinto la richiesta, perché in Italia non c'è una grande capacità di export, dal momento che la produzione consente di soddisfare solo il mercato nazionale. "Abbiamo una autosufficienza che raggiunge a malapena il 97 per cento - ha commentato Ruggero Moretti, presidente Comitato Uova di Unaitalia - non c'è disponibilità e non possiamo permetterci forniture aggiuntive". Lara Sanfrancesco, direttrice Unaitalia, racconta come si stiano muovendo le ambasciate statunitensi, che stanno sondando la capacità di export di uova da tavola o destinate l'industria di molti Paesi europei. Attualmente, spiega la numero uno di Unaitalia, all'ambasciata italiana è giunta solo una richiesta esplorativa per constatare la capacità e l'eventuale disponibilità da parte delle aziende aderenti all'associazione italiana, responsabili del 30 per cento della produzione complessiva del nostro paese.

A restituire un quadro dei movimenti statunitensi è stato Jørgen Nyberg Larsen, ceo della Danish Egg Association, che ha riferito ai media come anche Francia e Lituania abbiano declinato la richiesto, "ma credo che gli americani abbiano provato a contattare tutti i Paesi europei, ricevendo la stessa risposta". Anche la Finlandia avrebbe risposto con un secco "no". Come riporta la tv finlandese, la Finnish Poultry Association, l'associazione avicola nazionale, ha respinto la richiesta americana perché non sono state tenute trattative di accesso al mercato con le autorità statunitensi. "Si tratta di un processo lungo che comporta ispezioni e studi approfonditi", ha spiegato il direttore esecutivo dell'organizzazione, Veera Lehtila.

Il contrabbando delle uova dal Messico

Per colmare il vuoto nelle dispense, i cittadini degli States hanno iniziato a rifornirsi di scorte più economiche in Messico e in Canada, paesi che il presidente Donald Trump ha colpito con una raffica di dazi sulle loro merci. Tuttavia, il passaggio delle uova lungo le frontiere statunitensi non è affatto semplice, aprendo così un varco illegale, alimentato dai cartelli dei trafficanti messicani. Secondo la US Customs and Border Protection, le intercettazioni di uova di contrabbando dal Messico sono aumentate del 36 per cento a livello nazionale quest'anno rispetto all'anno precedente e del 54 per cento lungo alcune parti del confine del Texas. Il Dipartimento dell'agricoltura degli Stati Uniti vieta questo tipo di importazioni, dal momento che le uova non ispezionate tramite canali ufficiali possono diffondere malattie.

Le altre strategie adottate dagli Stati Uniti

Ovviamente gli States cercano una fonte alternativa per soddisfare il bisogno nazionale. Gli sforzi per diversificare la fornitura di uova fanno parte della proposta dell'Usda d'investire 1 miliardo di dollari per affrontare i maxi costi delle uova, saliti a un massimo record di 5,90 dollari per una dozzina a febbraio, un aumento del 10,4 per cento rispetto all'anno scorso e del 189 per cento rispetto al minimo di agosto 2023.

L'influenza aviaria ha messo in ginocchio le filiere di approvvigionamento delle uova degli Stati Uniti, causando la morte di oltre 20 milioni di galline ovaiole negli allevamenti americani nell'ultimo trimestre del 2024. Gli Usa hanno chiesto aiuto anche alla Turchia, che nel 2025 prevede di esportare 420 milioni di uova. Un numero sostanzioso, ma che impallidisce di fronte alla tipica fornitura media degli Usa, che producono 7,5 miliardi di dozzine di uova ogni anno.


Commento. Potrebbe essere l'inizio della problematica legata al cibo?

18 mar 2025

Ritorno al denaro in contante in Svezia

di: Web Master

Ritorno al denaro contante: la vita senza soldi in tasca non è sicura come la Svezia sperava

Articolo tratto dalla rassegna stampa estera di EPR Comunicazione

Di Redazione Web -17/03/2025

I paesi nordici sono stati tra i primi ad adottare i pagamenti digitali, al posto del denaro contante. Ora, l’e-banking – scrive The Guardian – è visto come una potenziale minaccia alla sicurezza nazionale Nel 2018 un ex vice governatore della banca centrale svedese aveva previsto che entro il 2025 il paese sarebbe probabilmente diventato un paese senza contanti,.

Sette anni dopo, quella previsione si è rivelata piuttosto veritiera. Solo un acquisto su dieci viene effettuato in contanti e la carta è la forma di pagamento più comune, seguita dal sistema svedese di pagamento mobile Swish, lanciato da sei banche nel 2012 e ormai onnipresente. Anche altri servizi di pagamento tramite telefono cellulare stanno crescendo rapidamente.

Pagamenti digitali e denaro contante

Infatti, secondo il rapporto annuale sui pagamenti della banca centrale, pubblicato questo mese, la Svezia e la Norvegia hanno la più bassa quantità di contanti in circolazione, in percentuale del PIL, al mondo.

Ma nel contesto odierno, con la guerra in Europa, l’imprevedibilità negli Stati Uniti e il timore di attacchi ibridi russi che fanno quasi parte della vita quotidiana in Svezia, la vita senza contanti non si sta rivelando l’utopia che forse una volta prometteva di essere.

A dicembre il governo ha pubblicato i risultati di un’indagine che proponeva di obbligare alcuni agenti pubblici e privati ad accettare contanti, una raccomandazione che secondo la banca centrale dovrebbe essere attuata dalle autorità.

[…]

Non solo in Svezia

La Svezia non è l’unico paese nordico a fare marcia indietro sui piani per una società senza contanti. L’anno scorso la Norvegia, che ha un popolare equivalente svedese chiamato Vipps MobilePay, ha introdotto una legge che prevede multe o sanzioni per i rivenditori che non accettano contanti. Il governo ha anche raccomandato ai cittadini di “tenere un po’ di contanti a portata di mano a causa della vulnerabilità delle soluzioni di pagamento digitale agli attacchi informatici”.

L’ex ministro della giustizia e delle emergenze norvegese Emilie Mehl lo ha detto chiaramente: “Se nessuno paga in contanti e nessuno accetta contanti, il contante non sarà più una vera soluzione di emergenza una volta che la crisi sarà alle porte”.

Commento. Ecco che qualcuno inizia a defilarsi, mentre l'Europa vuola andare nella direzione dell'euro digitale entro fine 2025..

16 mar 2025

Alessandro Leonardi

di: Web Master


Ue, ecco il piano per risvegliare i risparmi parcheggiati in banca

Mercoledì la Commissione discute un piano che ha l’obiettivo di smuovere almeno una parte dei 10mila miliardi di euro dei piccoli risparmiatori custoditi nei conti correnti bancari (e sostanzialmente inutilizzati) per trasformarli in capitale di rischio e in investimenti. L’obiettivo è sostenere la competitività dell’industria europea e le nuove priorità, a cominciare dalla difesa.

Come ho più volte annunciato nelle mie conferenze e nelle mie live ecco arrivato il momento in cui cominceranno a toccare i nostri risparmi nei conti correnti. Il caro Mario Draghi l'aveva richiesto meno di un paio di anni fa ed eccolo accontentato. Il Sole 24 ore ci regala un maggior dettaglio inenerente alle modalità in via di studio. Mettere il nostro capitale come bene di rischio di fronte agli investimenti.

Quando lo dicevo nelle conferenze anni fa erano in pochi coloro a crederci, così come quando parlai dell'attacco alle case e alla proprietà privata, ma tutto sta andando in quella direzione. Nei miei ultimi volumi Apocalisse green 1,2,3 editi da Macro Edizioni trovate in anticipo tutti i discorsi inerenti gli espropri, le case, la proprietà privata, i crediti di carbonio e come avrebbero colpito conti correnti, cripto valute e cassette di sicurezza. Come sempre difficilmente la mia documentazione mi permette di sbagliare, anche perchè ciò che avviene oggi non è nient'altro che il frutto di leggi fatte ieri... e sono anni che ci lavorano, come dimostro nei miei libri. E' brutto avere ragione, ma è ora di responsabilizzarsi. Progetto Atena 2030 è stato realizzato proprio perchè sapevo che sarebbe giunto questo momento, così come la centralizzazione del cibo nelle mani delle grandi multinazionali e la distruzione dei piccoli imprenditori agricoli. Purtroppo il tempo a disposizione sta per scadere... 

Fonte: https://www.ilsole24ore.com/ar...


15 mar 2025

Stop al caro energia!

di: Web Master

Stop al caro energia!

Consigli per soluzioni alternative per riscaldare la propria casa.

Con l'aumento dei costi energetici, molte famiglie cercano soluzioni alternative per riscaldare la propria casa e ridurre le spese in bolletta. Esistono diverse strategie per ottenere un ambiente caldo e confortevole senza dipendere completamente dal gas, contribuendo allo stesso tempo a un minore impatto ambientale. Stop al caro energia diventa un obiettivo sempre più condiviso.

Un'alternativa efficace è rappresentata dalle pompe di calore, dispositivi che sfruttano l'energia presente nell'aria, nell'acqua o nel suolo per riscaldare gli ambienti con un consumo energetico inferiore rispetto alle caldaie tradizionali. Sebbene richiedano un investimento iniziale, nel lungo periodo permettono di ridurre notevolmente la spesa energetica.

Un altro metodo conveniente è l’uso di stufe a pellet o a biomassa, che utilizzano combustibili naturali come legna o scarti vegetali. Questi impianti hanno un'efficienza elevata e costi di approvvigionamento inferiori rispetto al gas, garantendo un risparmio significativo.

Anche il miglioramento dell’isolamento termico dell’abitazione è una strategia essenziale per trattenere il calore e diminuire i consumi. Infissi a doppio vetro, cappotti termici e tapparelle ben isolate possono fare la differenza nel mantenere una temperatura interna stabile, riducendo la necessità di riscaldamento. Stop al caro energia è possibile anche attraverso piccoli accorgimenti quotidiani.

Infine, l’uso di pannelli solari termici rappresenta una soluzione ecologica ed efficiente. Questi sistemi permettono di sfruttare l’energia solare per produrre acqua calda e riscaldare gli ambienti, diminuendo la dipendenza dal gas.

Grazie a queste soluzioni, è possibile ridurre i costi energetici e contribuire alla sostenibilità ambientale. Per approfondire le opzioni disponibili, si possono consultare risorse come il sito dell'ENEA (https://www.enea.it/), che fornisce consigli su efficienza energetica, il portale di ARERA (https://www.arera.it/) per confrontare i costi delle diverse fonti energetiche, o il sito di Altroconsumo (https://www.altroconsumo.it/) per trovare suggerimenti pratici su come risparmiare. Investire in fonti di calore alternative e migliorare l’efficienza della propria abitazione è la chiave per dire stop al caro energia e vivere un inverno più sereno e conveniente.

15 mar 2025

Espropri in Sardegna

di: Web Master

Espropri in Sardegna

Nell'estate del 2024, la Sardegna è stata teatro di numerosi espropri territoriali legati a progetti infrastrutturali ed energetici, suscitando preoccupazioni tra le comunità locali. Uno degli interventi più discussi è stato il Tyrrhenian Link, un cavo sottomarino progettato per collegare la Sardegna alla Sicilia e al continente italiano. Questo progetto ha previsto la realizzazione di stazioni di conversione e smistamento nel territorio di Selargius, coinvolgendo circa 17 ettari di terreni agricoli.

Le procedure di esproprio hanno incontrato una forte opposizione da parte dei proprietari terrieri e delle comunità locali. In particolare, a Selargius, i proprietari Mariangela e Benedetto hanno rifiutato di cedere i loro terreni, diventando simbolo della resistenza contro gli espropri in Sardegna. Mariangela ha condiviso la sua testimonianza in un video, esprimendo la sua determinazione nel proteggere le sue vigne dall'esproprio. 

Le proteste hanno visto la partecipazione attiva di comitati locali e cittadini preoccupati per l'impatto ambientale e sociale dei progetti. A Su Padru, area designata per la stazione di conversione, si è formato un presidio permanente per opporsi agli espropri in Sardegna. Le forze dell'ordine sono intervenute per sgomberare i manifestanti, ma la resistenza è proseguita con determinazione. 

Un altro caso significativo riguarda Olbia, dove l'approvazione del nuovo Piano Urbanistico Locale (PUL) ha comportato una serie di espropri per la riqualificazione delle coste. Centinaia di proprietà sono state coinvolte, generando preoccupazioni tra i residenti riguardo alle future trasformazioni del territorio. 

Le comunità locali hanno espresso timori che tali espropri in Sardegna possano compromettere l'identità culturale e l'integrità ambientale dell'isola. La testimonianza di Maria Sias sottolinea l'urgenza di unire le forze contro questi interventi: "Tanti gli espropri in atto. Uniamoci, il tempo sta scadendo. Mi auguro che a Saccargia saremo numerosi e agguerriti".

Le proteste contro gli espropri in Sardegna hanno evidenziato la necessità di un dialogo più inclusivo tra istituzioni e comunità locali. Le preoccupazioni riguardano non solo la perdita di terreni agricoli e aree naturali, ma anche l'impatto socio-economico sulle popolazioni coinvolte. La richiesta principale è quella di una maggiore trasparenza nei processi decisionali e di una valutazione attenta delle reali necessità e benefici dei progetti proposti.

In conclusione, gli espropri territoriali dell'estate 2024 in Sardegna hanno sollevato questioni complesse che richiedono un equilibrio tra sviluppo infrastrutturale e tutela del patrimonio ambientale e culturale dell'isola. Le testimonianze delle comunità locali evidenziano l'importanza di processi partecipativi e condivisi nelle scelte che riguardano il futuro del territorio sardo.